Il cambiamento è una questione di fiducia

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Un’accurata analisi della domanda 

A volte i pazienti non vengono in seduta per cambiare, ma solo per confidarsi con qualcuno su argomenti che non vogliono o non possono affrontare all’esterno, per solitudine o per avere qualcuno con cui sfogarsi. Questo aspetto oltre a dover essere chiaro allo psicoterapeuta è importante che venga esplicitato e il paziente se ne renda conto e se ne prenda la responsabilità.

Capire su cosa si vuole attuare il cambiamento e fissare obiettivi concreti e definibili.

Chi intraprende un percorso, il più delle volte, intende eliminare dei sintomi (ansia, depressione, insonnia, disturbi dell’alimentazione, ecc.) ritenendo che la semplice evacuazione di vissuti possa essere una catarsi sufficiente alla rimozione delle problematiche. In realtà il cambiamento richiede un po’ più di impegno.

Alcuni dei compiti che devono svolgere insieme terapeuta e paziente sono i seguenti:

  • rievocare questioni dolorose: non è sufficiente parlare dei sintomi o di questioni che hanno un ruolo marginale nell’economia esistenziale del paziente. È necessario trattare le questioni che hanno un ruolo centrale.
  • prendere contatto con le emozioni: non è sufficiente parlare dei vissuti e fare una rassegna delle problematiche. A volte i pazienti parlano velocemente di aspetti anche molto dolorosi con distacco emotivo. Anche queste sono forme di resistenza in quanto con queste modalità di espressione si blocca l’accesso delle emozioni alla coscienza, ma il vero potere del cambiamento sta nella forza delle emozioni: la chimica del cervello, le tracce mnestiche e le memorie procedurali che fanno da sostrato biologico ai copioni comportamentali, si modificano solo quando la parte più antica del cervello, quella implicata nelle emozioni, viene attivata. Il pensiero, l’attività della neocorteccia, è solo ciò che orienta e fa capire quali sono i nodi da sciogliere.
  • cambiare gli stili di vita: molto spesso i sintomi di ansia o i disturbi dell’umore sono causati da stili di vita molto stressanti, dal frequentare persone negative fonte di forte stress emotivo. In altri casi l’assunzione di sostanze o cattive abitudini alimentari possono aggravare i sintomi psicologici. Tutto ciò implica un cambiamento degli stili di vita per ripristinare il benessere psicologico. Ciò deve essere assunto responsabilmente dal cliente affinché possa collaborare ad un percorso che conduca verso la modifica di stili di vita disfunzionali.

La resistenza sta al cambiamento come l’aria sta agli uccelli: rallenta il loro volo e al tempo stesso lo rende possibile

Sembra un paradosso, ma non lo è: se i nostri cieli fossero privi di atmosfera il volo sarebbe impossibile. Così se i pazienti non ponessero alcuna resistenza al cambiamento sarebbero pura argilla nelle mani del terapeuta da plasmare a proprio piacimento, con grande gratificazione narcisistica di quest’ultimo. Questi cambiamenti tanto sono rapidi tanto sono instabili. La resistenza non è altro che la manifestazione fenomenologica della tendenza degli organismi a mantenere la stabilità. Così un certo livello di resistenza al cambiamento è segno di un senso del Sé coeso e stabile: il paziente conosce se stesso, sa cosa è familiare e tende a mantenerlo. L’assenza della resistenza o anche la sua inconsistenza sarebbe solo il segnale di una personalità poco definita che subisce le suggestioni delle altre persone, ma non cambia in funzione di un processo di consapevolizzazione e di scelta di applicare nuove modalità relazionali. Allo stesso modo l’eccesso di resistenza consente al terapeuta di individuare gli aspetti più problematici ed aiutare il paziente ad indirizzarlo verso di essi.

La resistenza è sempre intersoggettiva

Ogni psicologo e psicoterapeuta deve tener conto anche del proprio controtransfert e di conseguenza delle proprie resistenze ad affrontare tematiche molto dolorose per il paziente o che hanno attinenza al presente e alla storia del terapeuta. Esse si possono manifestare con la collusione da parte di quest’ultimo verso il paziente nel non affrontare completamente certe tematiche oppure anche nel sorvolare su di esse. Altre volte la resistenza può essere agita con comportamenti che interrompono l’espressione emotiva.

La resistenza si nutre di pregiudizi e pensieri irrazionali

“Ce la devo fare da solo”, “Ho paura di diventare dipendente”, “Quanto tempo ancora dovrò venire in terapia?”, “Non ho soldi da buttare”. Tutte frasi che esemplificano i pensieri irrazionali e ingiustificati spesso correlati all’idea di affrontare un percorso di psicoterapia. Evidenziarli e confutarli è parte integrante del lavoro terapeutico.

Bibliografia di approfondimento:
Cambiamento e Resistenza in Terapia –  L’aderenza veloce al trattamento Autori: Edoardo Giusti – Florinda Barbuto Casa Editrice: Sovera Data di pubblicazione: 2014. Clicca qui.

Clicca qui per scaricare le slide del seminario

Il mio libro: “Divers-abilità: invenzioni per rendersi felici”. Empatia, autodeterminazione e resilienza.

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Si può essere felici pur avendo una disabilità? Quali sono gli ingredienti necessari per raggiungere una buona qualità della vita? Queste le domande a cui fondamentalmente risponde questo libro che esplora il complesso intreccio tra fattori biologici, psicologici e socio-culturali che determinano il benessere psicologico e l’auto-realizzazione. Obiettivo? Fornire spunti, a professionisti e non addetti ai lavori, per identificare le diverse prospettive e pianificare interventi che affrontino le problematiche a diversi livelli, valorizzando sempre l’unicità e il ruolo soggettivo della persona con disabilità, regista essa stessa dei supporti per l’inclusione sociale, piuttosto che oggetto passivo di atteggiamenti pregiudizievoli e assistenzialisti.

In copertina: “Le chiavi di casa” di Roberta Maola.

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Video delle presentazioni, recensioni e commenti

Presentazione sul sito formapsicologi.it a cura della dr.ssa Laura Salvai – Sabato 27 marzo 2021


Presentazione presso la Biblioteca Tullio de Mauro Roma – Sabato 9 febbraio 2019

Recensione su Superabile INAIL –  n. 2 febbraio 2019 di A. P. 

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“Una visione diversa della disabilità: questo libro analizza psicologicamente le diverse criticità legate alla condizioni della disabilità con realismo e concretezza offrendo al contempo degli spunti di riflessione che permettono di trovare degli agganci di “resilienza”.
Consigliato sia a chi vive e/o conosce la situazione di disabilità che a chi è semplicemente incuriosito da una visione realistica e concreta.”

“Un libro necessario, consigliato a chiunque viva, lavori o semplicemente voglia approcciarsi alla realtà della disabilità motorio-sensoriale. Testo completo e rigoroso, ma nel contempo scorrevole, appassionante e toccante.
Mi resta la sensazione di un annullamento delle distanze, perché sia che siamo persone normodotate o con disabilità, vogliamo infine le medesime cose: autodeterminazione, rispetto, relazioni significative e gratificanti.
Bellissimo testo.” E. M.

Sclerosi Multipla pediatrica: la vita continua… anche in sedia a rotelle.

Tipicamente l’età d’esordio della Sclerosi multipla viene individuata tra i 15 e i 60 anni. Le recenti evidenze cliniche hanno portato alla luce, purtroppo, anche l’esistenza della forma pediatrica della malattia individuando la possibilità di esordio anche tra i 5 e i 15 anni. Per sensibilizzare su questo argomento l’AISM ha realizzato un video che raccoglie e sintetizza le storie di vita di ragazzi colpiti nell’infanzia o nell’adolescenza dalla patologia.

Nel video emergono questioni che si prestano ad una comprensione intuitiva, come lo shock e i sentimenti di rabbia  e disperazione che colpiscono questi giovani pazienti. Esso però ha portato alla luce anche aspetti a cui si riserva minore attenzione e che, soprattutto trattandosi di ragazzi e ragazze, hanno tuttavia un ruolo determinante nell’incrementare il livello di sofferenza e possono inficiare la compliance al trattamento.

Un fattore è sicuramente la risposta dell’ambiente familiare: è importante che i genitori  affrontino la malattia nella convinzione che nonostante essa, il/la figlio/a possa realizzare un presente e un futuro ricco di soddisfazioni personali in tutti gli ambiti della vita. Per far ciò è importante farsi sostenere psicologicamente per elaborare l’inevitabile sofferenza e adattarsi alle nuove situazioni che si susseguiranno nel decorso della malattia.

Una malattia pervasiva ed invasiva come la SM determina uno stravolgimento nell’area corporea e delle relazioni, fino a costringere chi ne è affetto a continue ridefinizioni della propria identità. E’ normale quindi attendersi che al momento della diagnosi e ad ogni ricaduta o peggioramento possano emergere sentimenti di disperazione e vissuti che “il mondo sia crollato” o che “ci si senta da buttare”. Ma se questi giovani lottatori sono in grado di superare ogni volta questi sentimenti è fondamentale che lo faccia anche chi sta loro vicino. Non si tratta di dissimulare la tristezza o la sofferenza, quanto di elaborarla al fine di costruire relazioni autentiche in cui entrano in gioco sia le difficoltà della malattia sia le risorse del paziente e che siano caratterizzate da tutte le emozioni connesse alla reale situazione del paziente e non a spettri evocati dall’anticipazione del decorso della malattia.

Per far in modo che i pazienti, mentre si impegnano nelle cure, continuino le loro attività di studio e di socializzazione, è importante fronteggiare i pregiudizi veicolati da chi non vive la realtà della malattia. Essi possono essere combattuti ad un livello macro-sociale, con campagne di sensibilizzazione, ma anche a livello individuale. I pazienti devono essere preparati a gestire le emozioni che sperimentano di fronte a comportamenti di rifiuto o  pregiudizio. Queste risposte dell’ambiente sociale non sono dettate da cattiveria o malafede. Per questo motivo è possibile smentire false credenze fornendo informazioni, ma anche consentire alle persone di superare le proprie paure semplicemente cimentandosi nelle attività quotidiane come tutti e mostrandosi per quello che si è, nelle difficoltà così come nella propria normalità. Al contrario, eccessive risposte emotive e il conseguente ritiro dalle attività di socializzazione non fanno che alimentare il dolore e la reattività emotiva, con il rischio che si vada a instaurare una vera e propria fobia sociale. In questo processo, è di fondamentale importanza il gruppo dei pari (altri pazienti con SM della stessa fascia di età), ma esso deve fungere come una base sicura per i momenti in cui si sente il bisogno di essere consolati e compresi, non deve diventare l’orizzonte ultimo di tutti gli scambi di socializzazione. L’identificazione immediata funge da fattore di rinforzo molto potente, per questo bisogna stimolare l’apertura all’esterno e il superamento della zona di comfort.

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Infine, bisogna considerare che nella nostra cultura l’handicap è un tabù e ogni persona, ancorché disabile, può essere portatrice di pregiudizi. Essi hanno un peso fortissimo nell’economia intrapsichica di chi è al contempo portatore e destinatario di pensieri negativi e svalutanti. Per questo motivo è necessario condurre una battaglia culturale anche sul “fronte interno”: la sedia a rotelle deve cessare di essere un tabù, il simbolo dell’ultima spiaggia da evitare a tutti i costi. Essa è semplicemente un ausilio, un mezzo che all’occorrenza può aiutare a continuare a vivere preservando livelli più o meno ampi di autonomia.

In ultima analisi la resilienza, cioè la capacità di fronteggiare le avversità, è fatta sì di grande forza di volontà e impegno, ma anche della capacità di adattarsi creativamente alle situazioni, tenendo in conto la possibilità di assumere stili di vita differenti. Chiudersi all’interno di un unico modello normativo riduce i gradi di libertà della persona e il suo livello di empowerment perché tante opzioni vengono neglette.

Riferimenti: https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/disturbi-demielinizzanti/sclerosi-multipla

Workshop “Pensavo fosse amore invece era…?”: il resoconto

XDGSWL’incontro è stato aperto con il racconto da parte degli autori che hanno illustrato come è nata l’idea di scrivere il testo sul fenomeno del Devotismo “Sesso e disabilità: un’attrazione segreta”. Sia per la dott.ssa Angeli che per il dott. De Risio sono state due esperienze dal forte impatto emotivo ad ispirare il progetto. Per la prima l’aver visitato la mostra Erotica Tour, svoltasi a Roma nel 1995, nell’ambito della quale c’erano anche stand dedicati alla pornografia che aveva per oggetto le persone disabili, le menomazioni e gli ausili. Dal canto suo il dott. De Risio ci racconta il suo incontro con i devotee citando un brano delle note degli autori riportate nel loro lavoro:

(…) da venti anni in quei luoghi preclusi ai più, i luoghi della pena che, nella nostra società segnano il confine ultimo tra chi “è nel giusto“ e chi “ha sbagliato”. In questa scatola di pietra ho raccolto gli ingredienti di quel complesso intreccio tra salute mentale, pulsione sessuale e disabilità. La storia di F., una storia apparentemente come tante, una vita ‘trasgressiva’ … una vita al limite, tra eccessi e profondi malesseri, di chi, come un funambolo, cammina sul confine ultimo, la zona d’ombra, tra il bene e il male. Dal contorno fumoso ed evanescente del suo dire, come in una ambientazione di una fumeria d’oppio lontana nel tempo, ecco prendere forma un racconto dai toni forti, tenuti in disparte, di sesso senza amore, di corpi senza movimento, di tendenze predatorie giocate sul piano della contrapposizione, di “registi” senza scrupoli, di fragili “attori”, di audaci “scenografie”, di avidi “mercanti”.

Un fenomeno, quello del devotismo quindi, che si è fatto movimento e business. Le persone devotee possono trovare un sociale di riferimento nelle associazioni che razionalizzano e giustificano questa devianza sessuale attraverso l’assunto che le persone con disabilità non verrebbero “amate” o desiderate da nessuno se non dai devotee. Solo costoro, infatti, avrebbero la capacità di vedere la bellezza che le persone normali non vedono. Negli States esiste l’associazione ASCOT-WORLD che nasce per fornire supporto a persone amputate e disabili, particolarmente veterani di guerra o vittime dell’11 settembre, al cui interno confluiscono molti devotee che, offrendo il loro aiuto pratico, hanno la possibilità di stare a contatto con persone disabili.

Le strategie dei devotee possono essere molto diverse a seconda dei contesti all’interno dei quali cercano persone da adescare: possono essere assolutamente espliciti rispetto alle caratteristiche di menomazione che la persona deve avere per soddisfare i loro desideri (vedi agenzie matrimoniali che ospitano anche persone con handicap) oppure possono assumere atteggiamenti estremamente sedutivi nei forum di persone con disabilità.

Purtroppo esiste una sorta di collusione anche da parte delle persone disabili che cercano nei devotee persone in grado di prestare loro attenzioni, che, ritengono, nessun altro darebbe loro. Attenzioni e supporto pratico per le quali ritengono di dover essere grate.

Partendo dalla convinzione che l’unica peculiarità che rende speciali e degni di attenzione è la disabilità, con tutto ciò che comporta dal punto di vista psicologico e sociale, si sarà portati a pensare che essa sia l’unica carta che può essere “giocata”. Non risulterà per ciò strano che il partner avrà una sorta di fissazione ossessiva e curiosità morbosa per i dettagli riguardanti la malattia, la disabilità, la deformità e la sofferenza.

Come detto i devotee (e purtroppo anche alcune persone disabili) razionalizzano questi atteggiamenti sostenendo che sono le uniche persone a vedere la bellezza “diversa”, in realtà essi hanno i medesimi canoni estetici delle persone normali, solo che provano un’eccitazione sessuale tanto più intensa quanto le caratteristiche fisiche di una persona si allontano dai normali canoni estetici. In altre parole più il corpo è strano e deformato più provano eccitazione.

Non esitano a fare commercio o traffico di immagini rubate dei momenti intimi della vita della persona disabile, particolarmente quelli relativi alla gestione del proprio corpo e delle parti del corpo connesse alla disabilità. L’attenzione morbosa per la menomazione fa loro perdere completamente di vista la persona e la sua sensibilità: non mostrano alcun rispetto per il pudore con cui di solito vengono trattate le parti del corpo più critiche. Le pratiche sessuali sono strettamente connesse ad esse, senza alcun riguardo per il piacere della persona disabile.

Il pericolo di traumi psicologici derivanti dall’inganno seduttivo, dalle umiliazioni a cui possono essere sottoposti a causa dell’enfasi riservata alla disabilità, nonché il rischio di abuso e sfruttamento sessuale impongono con urgenza di tracciare criteri e strumenti per individuare preventivamente le persone che hanno atteggiamenti morbosi verso la disabilità.

Alcune caratteristiche comuni sono individuabili, come detto, nell’enfasi eccessiva e morbosa per i particolari intimi della malattia, atteggiamenti di ammirazione eccessiva rispetto alla condizione di sofferenza, il collezionare immagini o materiale illustrativo inerente ausili e protesi, nonché la partecipazione ad happening relativi alla disabilità con una frequenza non richiesta dalla professione. Difficile, però, individuarli anche perché spesso svolgono lavori attinenti proprio per avere una maggiore facilità di contatto e relazione. Da questo punto di vista bisogna tener presente il rischio relativo all’assistenza sessuale che può risultare un ambito nel quale devotee possono essere legittimati e facilitati al massimo ad accedere alla sfera sessuale.

In chiave preventiva è sicuramente necessario intervenire anche sulle persone con disabilità informando sul fenomeno, ma anche lavorando sul potenziamento dell’autostima e delle capacità relazionali al fine di incrementare il livello di inclusione. Una persona che ha una rete ampia di persone che le vogliono bene e che la stimano, avrà maggiori probabilità di raggiungere il proprio benessere psicosessuale senza dover accettare surrogati che non la soddisfano o peggio la fanno stare male.

È necessario, infine, agevolare la modificazione di schemi relazionali basati su dinamiche di potere e dipendenza, sviluppando la maturità emotiva necessaria ad accettare rapporti alla pari caratterizzati da rispetto, piacere reciproco e… rischio di separazione come capita alle persone che non hanno disabilità.

Riferimenti:

2° Workshop “Lutto, perdita, memoria e progettualità”

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Immagine tratta dal film “Le parole che non ti ho detto” del 1999

Quando? Lunedì 18 dicembre dalle 10,00 alle 13,00

In cosa consiste? Illustrazione degli aspetti teorici, video, lettura di brani di romanzi, domande e risposte, attivazioni esperienziali per elaborare le emozioni.

Quali argomenti?

  • Elaborazione del lutto: quando è necessario un trattamento e di che tipo?
  • Le fasi dell’elaborazione 1. Negazione/Rifiuto; 2. Rabbia; 3. Negoziazione; 4. Depressione; 5. Accettazione; ad ognuna il suo tempo!
  • Le perdite inattese e traumatiche;
  • Lutti atipici da non sottovalutare;
  • Chiudere le questioni sospese tra rabbia e senso di colpa;
  • Valorizzare il presente prima dell’ultimo saluto;
  • La fine è un nuovo inizio: la progettualità in chi resta.

Destinatari: il laboratorio è rivolto a tutti coloro che sono interessati all’argomento per motivi personali o professionali.

Costi:

  • 20 euro per iscrizione singola;
  • 15 euro a testa doppia iscrizione;
  • 10 euro a testa per gruppi di tre o più iscritti.

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SCRIVENDO A info@bizzarrilelio.it O 3478468667. MAX 10 PARTECIPANTI.

Ubicazione: Romanina Roma (l’indirizzo preciso verrà fornito al momento della prenotazione)

FOREVER YOUNG Bob Dylan
Testo e Traduzione

May God bless and keep you always,
May your wishes all come true,
May you always do for others
And let others do for you.
May you build a ladder to the stars
And climb on every rung,
May you stay forever young,
Forever young, forever young,
May you stay forever young.

May you grow up to be righteous,
May you grow up to be true,
May you always know the truth
And see the lights surrounding you.
May you always be courageous,
Stand upright and be strong,
May you stay forever young,
Forever young, forever young,
May you stay forever young.

May your hands always be busy,
May your feet always be swift,
May you have a strong foundation
When the winds of changes shift.
May your heart always be joyful,
May your song always be sung,
May you stay forever young,
Forever young, forever young,
May you stay forever young

Possa Dio benedirti e proteggerti sempre
possano tutti i tuoi desideri diventare realtà
possa tu sempre fare qualcosa per gli altri
e lasciare che gli altri facciano qualcosa per te
possa tu costruire una scala verso le stelle
e salirne ogni gradino
possa tu restare per sempre giovane
per sempre giovane per sempre giovane
possa tu restare per sempre giovane

Possa tu crescere per essere giusto
possa tu crescere per essere sincero
possa tu conoscere sempre la verità
e vedere le luci che ti circondano
possa tu essere sempre coraggioso
stare eretto e forte
e possa tu restare per sempre giovane
per sempre giovane per sempre giovane
possa tu restare per sempre giovane

Possano le tue mani essere sempre occupate
possa il tuo piede essere sempre svelto
possa tu avere delle forti fondamenta
quando i venti del cambiamento soffiano
possa il tuo cuore essere sempre gioioso
possa la tua canzone essere sempre cantata
possa tu restare per sempre giovane
per sempre giovane per sempre giovane
possa tu restare per sempre giovane

Convenzioni CNOP: intervento psicologico a condizioni agevolate

photovisi-downloadAderisco alle convenzioni stipulate dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi stipulate con le Forze dell’Ordine ed altre associazioni di categoria, come di seguito elencato:

  • Arma dei Carabinieri;
  • Polizia di Stato;
  • Guardia di Finanza
  • FISDE-ENEL (Fondo Integrativo Sanitario per i Dipendenti del Gruppo ENEL);
  • Associazione “L’altra metà della divisa” – Rete supporto Famiglie Militari;
  • Dipartimento Amministrazione Penitenziaria;
  • Assomedico;
  • Ordine Consulenti del Lavoro.

La convenzione, tra le altre cose, prevede un primo colloquio gratuito e uno sconto del 20% sulla tariffa adottata normalmente dal professionista.

Per visionare in dettaglio le condizioni dei protocolli d’intesa è possibile visitare la pagina dedicata sul sito del CNOP.

Sessualità e disabilità: intervista a Lelio Bizzarri

Di seguito ri-pubblico una mia intervista del 2010 a cura della dr.ssa LOBEFARO MANUELA… temi sempre attuali. 


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Kelly Perks-Bevington ha un problema al midollo spinale che l’ha bloccata sulla sedia a rotelle quando aveva 11 anni ma sei mesi fa si è sposata con il suo fidanzato Jaz e, dice, “solo il giorno del nostro matrimonio l’abbiamo fatto 3 o 4 volte”. Kelly dice che i pregiudizi della gente riguardo ai disabili possono essere davvero imbarazzanti: “Dopo le nozze ordinai un cocktail dalla camera dell’hotel e il cameriere portò il conto a mio fratello pensando che fosse lui mio marito, semplicemente perché anche lui era in carrozzina!”

Per conoscerla meglio, Dott. Bizzarri di cosa si occupa? Sono uno psicologo e mi occupo di consulenze psicologiche mirate alla prevenzione del disagio e alla promozione della qualità della vita. I miei interventi sono spesso rivolti a persone che in prima persona vivono la condizione di disabilità oppure che per motivi di legami familiari o per lavoro hanno a che fare con la disabilità. Ho promosso e condotto corsi di formazione e sensibilizzazione rivolti a questa particolare popolazione in particolare sulla tematica della sessualità e dello sviluppo del senso di autonomia ed autodeterminazione delle persone con disabilità. Sono stato anche Consigliere dell’Ordine degli Psicologi durante il mandato 2009-2013 e per questo mi sono anche occupato dell’organizzazione di campagne di sensibilizzazione della cittadinanza a prendersi cura del loro benessere psicologico.

Cosa l’ha spinta ad occuparsi di corsi di formazione nell’ambito dell’affettività, dei sentimenti e dell’educazione sessuale nelle persone con disabilità? Uno degli aspetti che mi ha stimolato è sicuramente il fatto che fosse un tema poco esplorato ed approfondito. Avevo letto qualche libro in proposito e tutti mi sembravano un po’ a senso unico, sottolineando esclusivamente gli aspetti negativi della questione: i rifiuti, le delusioni, i rischi legati all’abuso e alle gravidanze indesiderate, le problematiche relative al controllo degli impulsi, ecc. Essendo io oltre un addetto ai lavori, anche una persona che viveva questa dimensione sulla propria pelle, avevo un punto di vista privilegiato per essere consapevole del fatto che il binomio sessualità e disabilità non è solo sofferenza, ma anche gioia profonda. Avevo sperimentato nel mio sviluppo personale come la sessualità per una persona disabile in particolare può essere un grande ponte per accedere al mondo cosiddetto della “normalità” e mi stimolava l’idea di condividere questa esperienza e verificare la sua generalizzabilità anche ad altre persone e ad altre forme di disabilità.

Durante le esposizioni sulle tematiche della sessualità nella disabilità, ha mai provato una sensazione di disagio, considerando il silenzio che avvolge questa tematica? No devo dire che non ho mai provato disagio anche perché comunque ho affrontato la tematica più da tecnico che esponendo le mie esperienze personali. Esse sono state per me un punto di riferimento e di confronto con le aspettative e le esperienze altrui, ma mai oggetto di discussione dei miei interventi anche perché le esperienze in sé e per sé non hanno un valore per l’altro che ha un vissuto differente, possono essere prese come pietra di paragone, ma non ritenute un qualcosa che può essere riproposto tale e quale nella vita altrui. Ho sempre riscontrato molto interesse da parte di operatori, familiari e persone con disabilità che sentivano proprio il bisogno di parlare di questa tematica proprio in virtù del fatto che non esistevano spazi alternativi per condividere. In alcuni casi c’erano richieste di aiuto vere e proprie rispetto a situazioni più problematiche legate al comportamento sessuale di ragazzi con grave ritardo mentale o autismo. Il fatto di aver approcciato il tema con serenità e con un atteggiamento possibilista e legittimante comunicava molta speranza ed era già in parte funzionale ad un livello superiore di benessere perché attenuava l’ansia e dava il permesso di vivere questa dimensione della vita.

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“Si può essere donna anche se non perfetta. Questa idea può fare spazio a diverse argomentazioni: far pensare che un corpo femminile in reggiseno non è un oggetto, far riflettere sul problema del bullismo verso chi è perepito come dverso, ma anche su quello dei disturbi alimentari vissuti da chi non si accetta per come è. Occorre capire quello che vuole nascere dietro a questo progetto.” Tratto dall’intervista di Superabile Inail Maggio 2016 a Valentina Tomirotti – Impiegata nei servizi sociali del Comune di Porto Mantovano laureata in Scienze della comunicazione specializzazione in giornalismo. Blogger: pepitosablog.com.

Il tabù intorno al tema della sessualità nella disabilità è un ostacolo che, secondo lei, parte principalmente dalla società o dalla famiglia?Beh diciamo che per la Società è più facile accettare che le persone con disabilità si vivano la propria sessualità, in quanto di solito tutte le difficoltà implicate se ne fa carico la famiglia laddove la persona disabile stessa non riesce a gestire le situazioni. Certo che se invece poi parliamo di come le istituzioni si impegnano con programmi di sostegno pratico e psicologico alle persone disabili che contribuiscano a creare le condizioni propedeutiche al vivere la sessualità in maniera soddisfacente, è evidente che la crisi dei servizi sociali che stiamo attraversando sia un impedimento molto più marcato di quello che fanno le famiglie. Per fare un esempio è evidente che per un ragazzo disabile sia molto difficile vivere la propria sessualità se non ha i mezzi e le possibilità per uscire, fare amicizie, conoscere altre ragazze ed eventualmente allacciare relazioni sentimentali. Il riconoscimento della Società intesa come istituzioni e servizi è solo formale dato che non c’è poi quel sostegno che sarebbe opportuno desse alle persone disabili e viene delegato tutto al singolo o alla famiglia. Se ci fossero più servizi e le cose fossero meno difficili, anche le famiglie sarebbe più tranquille nel lasciare spazio e autonomia ai figli/fratelli. In sintesi, agevolare l’emancipazione dalla famiglia delle persone disabili comporta automaticamente la possibilità da parte di tutti di vivere la sessualità più serenamente.

Durante le formazioni dirette a genitori, educatori o diretti interessati, quali sono gli ostacoli maggiormente riscontrati? Un problema strutturale è legato alla continuità dei progetti che purtroppo anche qui è inficiata dalla difficoltà di reperire risorse economiche. Rispetto al lavoro in sé e per sé la parte più difficile è quella di modificare gli atteggiamenti di base che sottostanno ai copioni comportamentali. Il lavoro di espressione e condivisione delle emozioni dà molte soddisfazioni e benefici, ma purtroppo quando si cerca di fare un lavoro un po’ più profondo si è già arrivati al termine del percorso. La parte psicoeducativa dell’intervento può dare solo frutti parziali in quanto molto spesso è necessario intervenire sugli stili di attaccamento e su complessi emotivi molto resistenti e questo necessita molto tempo in quanto non è sufficiente comunicare quali sono le cose più giuste da fare per far in modo che esse vengano fatte.

coppia-disabiliDopo le formazioni dirette a genitori, educatori o diretti interessati ha avuto dei riscontri positivi, come ad esempio più tranquillità nell’affrontare la tematica dell’amore? Sì come ho detto prima, la condivisione dà molti risultati positivi in particolare il confronto fra persone con disabilità consente di acquisire fiducia e un senso di legittimazione che porta ad uscire dal guscio. Ovvio che poi nel relazionarsi con le persone da un punto di vista erotico-sentimentale ci si può imbattere in delusioni e contrattempi, ma il fatto di avere uno spazio di condivisione aiuta molto. A volte questo tipo di setting può agevolare l’accettazione di avere relazioni e flirt con persone che condividono la condizione di disabilità a volte del tutto rifiutata, soprattutto dai giovani. Con ciò non voglio dire che una persona disabile dovrebbe farsi piacere per forza un’altra persona disabile, ma neanche escluderla a priori. Tante relazioni e storie d’amore che danno molte soddisfazioni, si allacciano tra persone entrambe disabili.

In molti paesi europei è ormai presente, da circa dieci anni, la figura professionale “dell’assistente sessuale”, in Italia invece no. Qual è il suo parere in merito a questa figura? Saranno strutturati servizi di assistenza/educazione sessuale secondo lei? Devo dire che visto il momento economico degli enti locali e delle istituzioni statali mi sembra molto improbabile che venga istituito e finanziato un servizio di assistenza sessuale laddove non si riesce a garantire l’assistenza di base. Oltre a queste difficoltà pratiche di origine economica, credo che si dovrebbe delineare meglio la funzione dell’assistenza sessuale. Dovrebbe servire ad aiutare una persona con difficoltà motoria a fare sesso con un’altra persona o a praticare l’autoerotismo? Dovrebbe soddisfare direttamente i desideri sessuali della persona disabile? Dovrebbe insegnare come si fa l’amore a persone che hanno handicap intellettivi? Da quanto ho appreso nei colloqui con familiari di persone con handicap mentale, mi sembra che la fantasia sia proprio quella che
venga istituita una figura professionale che surroghi la funzione di un partner: una sorta di prostituzione istituzionalizzata prodromica magari all’abolizione della legge Merlin. Questa assistenza-sessualeipotesi a mio avviso, è una risposta ad una concettualizzazione meccanicistica della sessualità secondo la quale l’eccitazione sessuale ha un’origine biologica e il suo esito naturale sarebbe lo sfogo fisico in sé e per sé. Eppure se si presta attenzione alla realtà e ci si confronta con i racconti delle esperienze sessuali dei ragazzi con disabilità si rileva che le esperienze sessuali fatte con persone estranee sono poco soddisfacenti, a volte traumatiche e comunque non soddisfano il desiderio più complesso di avere una relazione e sperimentare l’innamoramento. In sintesi la mia opinione è che questa opzione non può essere applicata a tutti i disabili eventualmente utilizzata nei casi limite di ragazzi con grave ritardo mentale e forti problematiche relative al controllo degli impulsi sessuali. E comunque la funzione non dovrebbe essere quella di fare sesso con queste persone, ma aiutarle a conoscere il loro corpo e a tramutare in comportamenti funzionali i propri impulsi sessuali ad esempio insegnando la pratica dell’autoerotismo e le limitazioni del vivere sociale. Legittimare il ricorso ad un’assistente sessuale per tutti i disabili rischia di diffondere un pesante stigma sociale secondo il quale i disabili non possono sedurre e/o far innamorare nessuno e per garantire loro l’espressione della propria sessualità occorre istituire una figura professionale che per lavoro e non per sentimento fa sesso con questi.

Come potremmo intervenire nel contesto sociale per migliorare il rapporto con la sessualità nel disabile? L’intervento deve essere a più livelli: psicologico, sociale, economico, culturale, ecc. Per quanto attiene al lavoro specifico della psicologia è necessario innanzitutto aiutare da una parte i ragazzi disabili a consapevolizzare o rinforzare la propria legittimazione ad essere al mondo. Avere il diritto ad essere al mondo significa anche sentire di poter dare molto alle altre persone: l’amore e il piacere sessuale sono forse le forme più alte di contributo che si può dare agli altri. Per fare ciò è necessario ripercorre i primi anni di vita e il trauma che la coppia genitoriale ha vissuto nel momento della diagnosi della patologia del nascituro. Questi aspetti hanno inevitabilmente delle ricadute nella cura del bambino e sul suo stile di attaccamento che come è noto influenza in età adulta le relazioni intime.

Per concludere, la sessualità è caratterizzata da molteplici sfaccettature, cosa pensa lei del diritto alla sessualità nella dimensione disabile? Che un diritto inalienabile di ogni persona e che trovo anche indicativo che esso debba essere ribadito per quanto riguarda le persone disabili. Allo stesso tempo la sessualità è in stretto contatto con l’amore e questo non può essere indotto attraverso alcuna tecnica né decretato per legge. I tecnici e i politici possono darsi da fare per creare le condizioni necessarie affinché le persone disabili possano vivere la propria sessualità, ma nessuno ha il potere di far innamorare qualcuno come cupido. Discorso diverso è la legittimazione a vivere la sessualità e ad esprimerla, questa è una battaglia che ogni persona disabile, ogni familiare e ogni operatore dovrebbe sposare, perché negare il diritto ad esprimere la propria sessualità è, a mio avviso, equiparabile alla negazione della natura umana. Non esiste essere umano che non provi sentimenti e desideri sessuali.


lobero

Sono Manuela Lobefaro, nata a Bari il 29/05/1986. Nel 2013 ho conseguito la Laurea Specialistica in Scienze della Formazione indirizzo “Educatore e Coordinatore dei Servizi Educativi e dei Servizi Sociali” con voto 110/110 tesi: “IL DIRITTO ALLA SESSUALITA’. PROSPETTIVE E PROPOSTE EDUCATIVE NELLA DIMENSIONE DISABILE” argomento spesso rimosso e affrontato con disagio, in una società che carica di stereotipi, considera i protagonisti come asessuati ed eterni bambini, sottovalutando ed annullando la sfera sentimentale ed affettiva, tanto presente quanto  importante per lo sviluppo e il benessere del singolo. Sono cresciuta con due fratelli, di cui uno affetto da Sindrome di Down, si chiama Dario e probabilmente grazie a lui è nato in me l’amore e il rispetto verso ogni disabilità. Nel corso degli anni tirocini, volontariato presso associazioni ed esperienze scolastiche di assistenza scolastica specialistica  come educatore  mi hanno continuato a far crescere. La tesi della Laurea triennale in Scienze dell’educazione e della formazione “Educatore nei Servizi socio culturali e interculturali” tratta un argomento altrettanto delicato relativo agli abusi e alle violenze verso i soggetti diversamente abili.

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Sostegno psicologico nel Paese delle stragi annunciate ed impunite.

27 agosto 2016 lutto nazionale. 31 agosto 2016 lutto nazionale. Mentre si continua a scavare alla ricerca dei dispersi e nella speranza di trovare superstiti, il bilancio ufficiale di una tragedia le cui premesse erano sotto gli occhi di tutti è di 293 vittime, tra cui molti bambini. Centinaia i feriti e le famiglie distrutte.

Un tributo di sangue pagato alla burocrazia, alla corruzione e all’avidità crudele di chi ha voluto lucrare su appalti già gonfiati, non effettuando gli adeguamenti per il rischio sismico previsti per legge come nel caso della scuola di Amatrice: solo per la clemenza della natura, che ha scosso la terra in una notte d’estate, non si è ripetuto quanto accaduto alla Casa dello Studente di L’Aquila e della scuola di San Giuliano di Puglia.

Ed ora spetta ai soccorritori lo straziante compito di raccogliere i frantumi di una comunità devastata nella sua Storia, nelle sue relazioni e nella sua psicologia. Vigili del fuoco, volontari della Protezione Civile, medici e… anche psicologi. Nell’intervista del 25 agosto il Direttore dell’Ospedale Camillo De Lellis di Rieti rende noto che un’equipe di psicologi era di stanza presso l’ospedale per supportare psicologicamente i superstiti nell’elaborazione del trauma e nella comunicazione del decesso dei familiari.

L’intervento psicologico si esplica nell’immediato della tragedia così come nei mesi successivi. Esso consiste in prima istanza nel supportare psicologicamente le persone sotto shock alleviandone la sofferenza e aiutando i soccorritori nell’intervistare i superstiti per ottenere informazioni utili alla ricerca dei dispersi. Successivamente si deve procedere alla valutazione e al trattamento di eventuali disturbi psicologici che possono insorgere in chi è stato coinvolto direttamente o indirettamente dalla catastrofe.

In caso di catastrofi come queste è molto alta la probabilità di sviluppare un Disturbo Post-Traumatico da Stress, che si può presentare anche nelle sue forme complesse e poli-traumatiche. Le persone superstiti del terremoto si trovano a fronteggiare uno o più dei seguenti eventi:

  • l’improvviso deflagrare del terremoto nel cuore della notte, la fuga improvvisa, il crollo o il danneggiamento della casa;
  • la paura di perdere la vita;
  • il dolore per le lesioni riportate e le eventuali menomazioni temporanee o permanenti;
  • la paura di perdere o la perdita effettiva di persone care;
  • la distruzione dei propri averi nel loro valore materiale, funzionale ed affettivo;
  • l’interruzione dell’attività lavorativa a tempo indeterminato, ritrovandosi improvvisamente senza reddito, dipendendo dalla solidarietà e dagli aiuti statali;
  • la devastazione dei luoghi dove si è cresciuti, lo smarrimento delle abitudini quotidiane e delle tradizioni che identificano la comunità.

La gravità e la forma del disagio psicosociale che ognuno sperimenterà può variare per effetto di diversi fattori. Alcuni risiedono nei comuni colpiti e si trovano devastata l’unica abitazione, mentre altri, risiedendo altrove, hanno un luogo sicuro a cui tornare con un effetto prognostico positivo. Altri sono rimasti sotto le macerie, altri ancora sono riusciti a scappare. Alcuni hanno perso familiari, altri sono rimasti gravemente feriti.

Tuttavia anche chi è riuscito a sfuggire illeso insieme alla propria famiglia non è immune dallo sviluppare un disagio psicologico. I segni a cui è importante prestare attenzione per riconoscerne l’insorgenza sono:

  • ricordi, immagini e sogni inerenti l’accaduto ricorrenti ed intrusivi;
  • avere la sensazione che l’evento si stia verificando nuovamente; per chi ha potuto fare ritorno in luoghi lontani dell’epicentro questa sensazione è sicuramente un segno che ci sia in atto una problematica di tipo psicologico; per chi invece si trova ancora sui luoghi dell’epicentro questa sensazione deve essere valutata considerando che effettivamente il fenomeno si ripete a causa delle aftershock (scosse di replica);
  • disagio psicologico e fisiologico all’esposizione di eventi associati all’evento: la copertura mediatica dell’evento terremoto con la riproposizione di immagini e interviste può indurre una sofferenza amplificata e reiterata;
  • affettività ridotta, sentimenti di diminuzione delle prospettive future, riduzione di interesse per attività significative, distacco dagli altri;
  • disturbi del sonno, irritabilità, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza;
  • stanchezza, preoccupazioni per la salute anche laddove sia stata esclusa la presenza di danni o malattie;
  • crisi, tremori, pianto, oppressione e sintomi gastro intestinali.
  • dissociazione ovvero totale mancanza di ricordo di quanto accaduto al momento del trauma;
  • Rabbia e senso di colpa nei superstiti: questo aspetto è estremamente delicato in quanto, come ampiamente documentato dalle inchieste, le conseguenze del terremoto sono state amplificate da costruzioni e ristrutturazioni non a norma dal punto di vista sismico; ciò può comportare una dinamica della rabbia che investe le istituzioni responsabili o essere retroflessa sugli stessi proprietari delle case: l’intervento psicologico si attesta su un’elaborazione delle responsabilità che non sconfini nella colpa depressiva o nella sterile rivendicazione.

Nei bambini può comparire sotto forma di comportamenti disorganizzati o di agitazione psicomotoria. 

Ripristinare l’integrazione psicologica delle persone investite dalla catastrofe, sarà l’obiettivo imprescindibile per la ricostruzione di una comunità che rischia di disgregarsi così come quella di L’Aquila.

Un percorso riabilitativo che va ben oltre la psicoterapia in quanto deve essere salvaguardata l’identità di una comunità colpita nelle sue infrastrutture, nella credibilità delle istituzioni e nelle sue tradizioni più antiche. Un senso di comunità che necessariamente dovrà integrare nella propria Storia anche l’evento Terremoto, tragedia che necessita di una profonda elaborazione per rinsaldare il tessuto sociale all’insegna della solidarietà e del sostegno reciproco.

 

 

SuperAbile Inail: “Prima o poi l’amore arriva”

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Ho il piacere di condividere una mia intervista sul tema “Amore, innamoramento e matrimonio” delle persone con disabilità pubblicata nel Magazine SuperAbile INAIL. L’intervista è parte, insieme ad altri contributi, dell’inchiesta “Prima o poi l’amore arriva” (Pag. 8).

Per visualizzare la copia elettronica del Magazine Cliccare qui