Usiamo la barbarie per vendere qualche spot in più

Il Brasile sta facendo in questi giorni i conti con la ferocia di un gruppo di maschi (sarebbe troppo facile chiamarli bestie) che hanno drogato e sottoposto a violenza una ragazza di 16 anni, nonché hanno pensato bene di pubblicare il video e le foto su Twitter. L’Italia dovrebbe fare i conti con una comunicazione mediatica senza etica né consapevolezza di quelle che possono essere le conseguenze, in termini di emulazione, del diffondere il video pubblicato dagli stupratori (seppur elaborato in modo che non si possa vedere nitidamente).  Emblematico l’invito a condividere sul proprio sito mettendo a disposizione il codice Embed.

Il video viene anticipato da uno spot pubblicitario diverso ogni volta che lo si carica. Tra gli spot anche quello dell’Otto per mille della Chiesa Cattolica!

E’ evidente che si vuole sfruttare la curiosità e la tendenza di alcuni maschi (questa volta nostrani) ad erotizzare la violenza, tendenza che in questo modo viene alimentata e legittimata.

Meglio correre al più presto ai ripari, regolando anche il diritto/dovere di cronaca, prima di trovarci a dover affrontare un aumento esponenziale di fenomeni come questo…

Screenshot-2016-05-30_12

Un irrefrenabile bisogno di biasimare la vittima

Corrado-Augias-diMartedìUn irrefrenabile, quasi antropologico, bisogno di biasimare la vittima a cui fa da contraltare la necessità di darne risalto mediatico. Se il femminismo fosse davvero stato quello descritto da Paola Tavella (ma dubito) si comprenderebbe meglio come mai milioni di donne in Italia subiscono violenze psicologiche, fisiche e sessuali e i femminicidi sono ogni anno centinaia. Alla domanda che Floris ha rivolto ad Augias circa il meccanismo mentale che spinge ad essere omertosi rispetto a delitti così atroci, quest’ultimo ha dato 2 risposte: una, esplicita, relativa ai farneticamenti sul venir meno dell’istinto di protezione e sugli atteggiamenti della piccola Fortuna, l’altra, implicita, che riguarda l’angoscia, la vergogna e l’insopportabile ricatto morale di essere additati come i responsabili delle atrocità subite dai propri figli.
Nell’ancestrale bisogno di individuare le responsabilità di chi subisce la violenza è rintracciabile la necessità di ribadire che vittime e carnefici appartengono ad un mondo altro dal nostro. Nella distanza che mettiamo, così, tra noi e la gente di Caivano e nell’isolamento che ne deriva di una comunità abbandonata al degrado, è necessario ricercare le dinamiche relazionali che conducono a queste tragedie.