La “scioccante verità” sulla relazione tra pornografia e disabilità

pornografia-e-disabilitaChe fra le persone con disabilità ci siano fruitori della pornografia è ormai diventato un concetto intuitivo alla luce dei recenti contributi che hanno messo in evidenza come le pulsioni sessuali siano comuni a chiunque, disabili compresi. Ma che il business della pornografia “arruolasse” come attori e, soprattutto attrici, persone con ogni tipo di handicap, è abbastanza sconcertante e apre la consapevolezza a nuovi scenari di sfruttamento e abuso sessuale.

Dalla disabilità psichiatrica a quella intellettiva, fino ad arrivare alle persone su sedia a rotelle, con amputazioni o gravi malformazioni, è proprio la condizione di svantaggio e di emarginazione che deriva dalla disabilità che rende più facilmente adescabili dai trafficanti di carne da pornografia.

Un fenomeno in espansione soprattutto nei contesti culturalmente più arretrati e nei quali i servizi sociali non riescono a fornire supporti economici e psicologici adeguati.

Un’amara verità immediatamente accessibile a tutti: semplicemente digitando su Google le parole “pornografia” e “disabili” vengono visualizzati nella prima pagina della ricerca siti che collezionano video di donne e uomini con disabilità fisica o intellettiva.
Il campionario è vario ed inquietante. C’è la ragazza su sedia a rotelle ripresa sul ciglio di una strada percorsa da decine e decine di automobilisti mentre si denuda. Video intitolati “Scherzo della natura eccitata” che riprendono donne con patologie dello scheletro, o affette da paraplegia, o anoressiche o con ipertricosi (definite “donna scimmia”) intente in atti autoerotici. Uomini e donne con amputazioni agli arti riprese durante rapporti sessuali. In uno addirittura si vede una donna, verosimilmente affetta da un disturbo dello spettro autistico, incitata a fare una fellatio. Stringe il cuore vederla fermarsi e dondolarsi prima di riprendere l’attività continuamente esortata da una persona non ripresa nel video.
In tutti i filmati è evidente la sottolineatura sulla menomazione per attirare il pubblico dei devotee (persone che hanno una attrazione feticistica e compulsiva per menomazioni o ausili), accentuazione che riduce le persone coinvolte a fenomeni da baraccone in chiave pornografica.
La modalità amatoriale (alcuni sono ripresi da una webcam) fa pensare che siano stati realizzati senza che le persone coinvolte fossero del tutto consapevoli che sarebbero finiti su siti internet alla mercé di chiunque. Un’eventualità resa ancora più verosimile dai recenti fatti di cronaca di diffusione in rete di video di rapporti sessuali (o addirittura stupri) girati e condivisi contro la volontà delle persone coinvolte.
L’emarginazione sociale e sessuale nella quale versano ancora oggi molte persone con disabilità e l’assenza di educazione sessuale sono fattori che alimentano la vulnerabilità rispetto al cadere nella rete del commercio di immagini pornografiche.
La sessualità è una dimensione della vita che funge anche da spartiacque tra il vissuto di normalità/inclusione e quello di diversità/emarginazione. Così come per i più giovani perdere la verginità è diventato una sorta di rito di passaggio dall’età infantile all’adolescenza che raramente ha a che fare con il piacere, analogamente per le persone disabili avere rapporti sessuali o meno fa la differenza rispetto al sentirsi uguali agli altri. L’urgenza di fare sesso per non sentirsi più diversi, combinata con la mancanza di consapevolezza che la sessualità non si riduce alla penetrazione e che l’elemento imprescindibile è il piacere, può favorire il lasciarsi convincere a fornire prestazioni sessuali senza provare alcun piacere, anzi a costo di sofferenza fisica e psicologica e pur sapendo di essere oggetto di riprese pornografiche.
Nella letteratura scientifica è stato documentato come fra le caratteristiche che identificano il profilo psicologico delle donne che si prestano alla pornografia sia la tendenza a sottomettersi, ad essere accondiscendenti, “docili”. Nei contesti culturalmente più arretrati le persone disabili sono tollerate come pesi per la società e indotte a mettere i propri bisogni all’ultimo posto, nonché ad accettare l’assistenza quale che sia la forma con cui essa viene fornita: anche in totale assenza di privacy. Questi due aspetti intrecciati tra di loro fanno sì che le persone con disabilità siano molto vulnerabili e rendono estremamente probabile un aumento esponenziale del fenomeno parallelamente allo sdoganamento del binomio sesso e disabilità.
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è il rapporto tra disturbi clinici e di personalità e pornografia. Posto che la letteratura scientifica ha ampiamente documentato la relazione tra abusi sessuali/incesto, insorgenza di disturbi psicologici gravi e disinibizione sessuale¸ è abbastanza intuitivo ipotizzare che fra le pornoattrici siano ricorrenti pregressi di abuso sessuale e disturbi psichiatrici. Questa ipotesi ha trovato riscontro nelle interviste raccolte in un documentario girato da associazioni femministe e presentato nel 2000 al Parlamento svedese.
Dalle interviste è emerso anche come i rapporti sessuali meccanici e a tratti violenti di cui erano oggetto alcuni filmati fossero vissuti come riedizioni di precedenti violenze subite dalle “attrici”, come essi dessero luogo a fenomeni di dissociazione e depersonalizzazione, fino, nei casi più estremi, ad indurre un’esacerbazione dei sintomi depressivi tale da determinare comportamenti autolesivi e suicidari.
Occorre, quindi, prendere atto di come esista un circolo vizioso secondo il quale entrano nel business della pornografia uomini e donne che hanno una storia di abusi e una predisposizione alla patologia psichiatrica, le quali subiscano la conclamazione e/o l’esacerbazione della sintomatologia proprio a causa degli abusi subiti durante le riprese.
Infine, bisogna tener presente la correlazione tra disturbi dell’umore e Disabilità Intellettiva Severa che ci porta a considerare come ulteriormente vulnerabili a questo tipo di sfruttamento le persone con doppia diagnosi di ritardo e problematiche psichiatriche.
Alla luce dell’impossibilità (per motivi pratici ed etici) di censurare ogni accesso alla dimensione sessuale nelle persone disabili, al fine di prevenire abusi e sfruttamento sessuale è urgente attivare una campagna di prevenzione che aiuti le persone disabili a comprendere l’importanza di proteggere la propria intimità e come trarre dalla sessualità piacere nel rispetto delle regole sociali, piuttosto che diventare oggetto di sfruttamento per la libidine altrui.

Riferimenti:
• R. AMY ELMAN, Disability Pornography: The Fetishization of Women’s Vulnerabilities, Violence Against Women 3(3):257-70 · July 1997
• Channa Bankier (2000) Shocking lies: sanningar om lögner och fördomar i porrdebatten: en antologi, Periskop, 2000
• DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DISORDERS, FIFTH EDITION DSM-5TM
http://www.stateofmind.it/2013/10/shocking-truth-pornografia/

Sono davvero i disabili i parassiti della società?

Mentre il razzismo verso gli immigrati è deflagrato negli ultimi anni in tutta la sua spudorata evidenza con conseguenti politiche di segregazione, in maniera strisciante si sta affermando un pensiero velenoso nei confronti delle persone con disabilità: i disabili sono improduttivi e costano, portano all’incremento di tasse e al deficit, rendono il Paese meno competitivo ergo devono ridurre il più possibile le loro richieste per minimizzare gli oneri fiscali.  Un pensiero che non solo è l’anticamera dell’eliminazione fisica, ma è anche una balla colossale.

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Commento ad un post di Iacopo Melio

Non voglio rispondere sotto il profilo morale che implica sempre una scelta di valori, ma dal punto di vista dell’asettica analisi delle dinamiche economiche che sbugiardano nettamente le fandonie di chi vuole lucrare sull’azzeramento dello Stato Sociale.

I contributi che una persona con disabilità riceve sono ricchezza che viene immediatamente e totalmente rimessa nel circolo economico diventando gettito fiscale e previdenziale o reddito per altre persone le quali a loro volta pagano tasse, contributi e determinano reddito per altre persone ancora, in un circuito virtuoso equilibrato e continuo in cui le risorse messe a disposizione dallo Stato ritornano nelle casse erariali. Ad esempio i contributi erogati per l’assistenza, che sono peraltro sottoposti a rendicontazione, vanno a costituire lo stipendio dell’assistente e i suoi contributi previdenziali. Stipendio sottoposto a tassazione, rispetto al quale vengono versati contributi, che servirà ad acquistare beni e servizi. Detti acquisti sono a loro volta soggetti a tassazione indiretta  e andranno a creare reddito per altre persone e così via. Per il medesimo meccanismo, tutte le altre forme di sostegno all’inclusione sociale delle persone con disabilità attraverso l’acquisto di beni e servizi concorrono a sviluppare ricchezza, reddito e gettito fiscale e previdenziale.

Tuttavia ormai da anni ci ripetono che la differenza tra gettito fiscale e spesa pubblica è per ogni esercizio in disavanzo di diverse centinaia di milioni di euro tanto che il Governo è sempre costretto ad aumentare la pressione fiscale e l’indebitamento pubblico. L’Unione Europea stabilisce regole più o meno rigide per la stabilità economica dei Paesi membri e tutti, come tante pecorelle, puntano il dito contro lavoratori, pensionati, malati, disabili e ovviamente immigrati. La ricetta è sempre la stessa: TAGLIARE diritti, stipendi, pensioni, contributi, ecc. L’ho già detto e lo ripeto è una COLOSSALE BALLA: per ogni persona che usufruisce di servizi c’è un indotto di lavoro che genera ricchezza, non può per tale motivo determinare deficit.

Ma allora dov’è il problema? I fattori che determinano il disavanzo pubblico vanno individuati, in ordine sparso, fra i seguenti.

I traffici illeciti della criminalità organizzata. 

Si stima che il volume d’affari annuo di mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita sia pari a 100 miliardi di euro.  Un buco nero che risucchia le risorse economiche prodotte da chi vive e lavora in Italia attraverso il traffico di droga, prostituzione, estorsioni, caporalato, traffico di armi, ecc. La criminalità organizzata non solo sottrae ricchezza al gettito fiscale e previdenziale, ma crea anche danni economici alle piccole e medie aziende con i danni a cose e persone a scopo estorsivo.

Corruzione.

Nonostante il dibattito circa l’effettivo ammontare del costo della corruzione sia ancora in corso e si stanno cercando metodi sistematici per stimarla, è sotto gli occhi di tutti come essa sia un fenomeno capillare e diffuso che  determina un incremento della spesa pubblica a causa dei costi dovuti ad appalti e fatture gonfiate, opere pubbliche incomplete e gestione fraudolenta di industrie, società e banche che costringono lo Stato a sovvenzionarle per scongiurarne il fallimento o ad erogare le indennità di disoccupazione ai lavoratori licenziati.

Italia-aperta-4-630x398Evasione ed elusione fiscale. 

Lavoro nero, mancata dichiarazione di redditi percepiti, trasferimento della sede legale delle grandi società nei cosiddetti paradisi fiscali (così come l’immissione nel mercato italiano dei grandi social network che, pur vendendo servizi ad aziende e persone nel nostro Paese sottostanno al regime fiscale vigente nello Stato in cui hanno la sede legale), la delocalizzazione delle fabbriche in Paesi in cui i lavoratori percepiscono redditi più bassi e hanno minori (o nulle) tutele previdenziali ed assicurative, tutto ciò determina disoccupazione e un conseguente minor gettito fiscale e previdenziale.

Cattiva gestione colposa o dolosa della sicurezza sui posti di lavoro.

Oltre a determinare drammi umani inestimabili, comporta un aggravio dei costi per risarcimento, sovvenzione, riabilitazione e ausili che sacrosantamente vengono erogati agli infortunati sul lavoro. Maggior sensibilizzazione, controlli più severi e ritmi di lavoro meno esasperati porterebbero ad un maggior rispetto per le vite dei lavoratori e un minor costo per le casse dello Stato.

Violazione delle norme ambientali e traffico illecito di rifiuti tossici. 

La Federazione Italiana Medici Pediatri ha stimato che un bambino su tre si ammala per gli effetti dell’inquinamento atmosferico. Un dato che nella sua drammaticità è solo la punta dell’iceberg del fenomeno inquinamento ambientale a cui vanno aggiunte tutte le persone adulte e anziane e i fenomeni di contaminazione del sottosuolo e delle falde acquifere dovuta al traffico di rifiuti tossici.

Accumulo di capitali non soggetti a tassazione.

I guadagni realizzati dalle grandi società, spesso anche attingendo alle risorse dello Stato come nel caso delle grandi industrie farmaceutiche, ristagnano nei conti correnti senza determinare reddito né gettito fiscale.

In conclusione, questi sono solo alcuni dei fenomeni che mettono fortemente in discussione la sostenibilità dello Stato sociale che ormai da anni è continuamente sotto attacco. Lungi dalla pretesa di aver scoperto l’acqua calda e che da domani ci sia un lotta senza quartiere a chi viola la legge mettendo in ginocchio il Paese, il fine di questa disamina è quello, come dichiarato, di smentire l’accusa che i disabili (e tutti gli altri fruitori di servizi socio-sanitari) siano la causa del dissesto economico finanziario dello Stato.  Chi riceve questi servizi non deve sentirsi un peso, bensì deve essere consapevole che gli attacchi ideologici ai servizi sono una manipolazione di comodo finalizzata ad evitare di confrontarsi con i veri problemi e a recuperare risorse economiche spremendo i soggetti più deboli della società.

L’auspicio, a pochi giorni dalla tornata elettorale, è che cittadini ed istituzioni smettano di fare i forti con i deboli e i deboli con i forti e attuino misure di contrasto a questi fenomeni cancerosi.

 

Il mio libro: “Divers-abilità: invenzioni per rendersi felici”. Empatia, autodeterminazione e resilienza.

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Si può essere felici pur avendo una disabilità? Quali sono gli ingredienti necessari per raggiungere una buona qualità della vita? Queste le domande a cui fondamentalmente risponde questo libro che esplora il complesso intreccio tra fattori biologici, psicologici e socio-culturali che determinano il benessere psicologico e l’auto-realizzazione. Obiettivo? Fornire spunti, a professionisti e non addetti ai lavori, per identificare le diverse prospettive e pianificare interventi che affrontino le problematiche a diversi livelli, valorizzando sempre l’unicità e il ruolo soggettivo della persona con disabilità, regista essa stessa dei supporti per l’inclusione sociale, piuttosto che oggetto passivo di atteggiamenti pregiudizievoli e assistenzialisti.

In copertina: “Le chiavi di casa” di Roberta Maola.

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Video delle presentazioni, recensioni e commenti

Presentazione sul sito formapsicologi.it a cura della dr.ssa Laura Salvai – Sabato 27 marzo 2021


Presentazione presso la Biblioteca Tullio de Mauro Roma – Sabato 9 febbraio 2019

Recensione su Superabile INAIL –  n. 2 febbraio 2019 di A. P. 

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“Una visione diversa della disabilità: questo libro analizza psicologicamente le diverse criticità legate alla condizioni della disabilità con realismo e concretezza offrendo al contempo degli spunti di riflessione che permettono di trovare degli agganci di “resilienza”.
Consigliato sia a chi vive e/o conosce la situazione di disabilità che a chi è semplicemente incuriosito da una visione realistica e concreta.”

“Un libro necessario, consigliato a chiunque viva, lavori o semplicemente voglia approcciarsi alla realtà della disabilità motorio-sensoriale. Testo completo e rigoroso, ma nel contempo scorrevole, appassionante e toccante.
Mi resta la sensazione di un annullamento delle distanze, perché sia che siamo persone normodotate o con disabilità, vogliamo infine le medesime cose: autodeterminazione, rispetto, relazioni significative e gratificanti.
Bellissimo testo.” E. M.

La relazione tra Microbiota dell’intestino e disordini degenerativi

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Mentre il ruolo del microbiota intestinale è ben consolidato nella patogenesi dei disordini gastrointestinali come la sindrome del colon irritabile e la colite ulcerosa, un crescente corpo di ricerche implica il suo coinvolgimento nello sviluppo di vari danni neurodegenerativi. L’evidenza più forte finora riguarda la Sclerosi Multipla, il Parkinson e i disturbi dello spettro autistico. Crescenti evidenze, inoltre, si concentrano sul fatto che l’alterata composizione microbiotica giocherebbe un ruolo nello sviluppo dell’Alzheimer, nell’infarto e nella SLA.

“Sta diventando chiaro che una salutare diversità microbiotica è essenziale per la salute del cervello, specialmente man mano che andiamo avanti con gli anni”, ha detto John F Cryan, PhD, professore e presidente del Dipartimento di Anatomia e Neuroscienza all’Università del College Cork di Cork, Irlanda, e co-autore di revisione pubblicata nel febbraio 2020 su Lancet Neurology.

È stato proposto che l’asse microbiota-intestino-cervello rappresenta un percorso comunicativo a due direzioni attraverso il quale il microbiota intestinale può influenzare il sistema nervoso centrale, contribuendo ad alterazioni neurologiche e comportamentali. Per esempio, un’accresciuta permeabilità della barriera ematoencefalica può “consentire il trasferimento di cellule del sistema immunitario e di componenti batterici nel cervello e determinare neuroinfiammazione”, secondo gli studi degli autori.

Cryan e colleghi hanno esaminato rilevanti risultati da studi clinici e preclinici le cui conclusioni sono riassunte di seguito.

Sclerosi Multipla

Considerando il ruolo essenziale del microbiota intestinale nello “sviluppo e maturazione del sistema immunitario, non è sorprendente che il microbiota sia implicato nella patogenesi della Sclerosi Multipla”, scrivono. In uno studio pubblicato nel 2016 sul European Journal of Neurology, i ricercatori esaminarono la composizione della flora batterica intestinale di 18 pazienti con Sclerosi Multipla pediatrica e 17 bambini sani di controllo senza disordini autoimmuni.

Nel gruppo di pazienti, trovarono che “le perturbazioni della composizione della flora batterica intestinale erano osservate, in parallelo con un arricchimento percorsi metabolici associati con la neuro-degenerazione” a confronto con il gruppo di controllo. “Le conclusioni suggeriscono un ambiente che favorisce l’infiammazione”.

Ulteriori scoperte sono state derivate da ricerche basate sui modelli animali della Sclerosi Multipla (encefalomielite sperimentale autoimmune). Gli studi, investigando il trapianto di microbiota di pazienti con Sclerosi Multipla in topi, hanno evidenziato l’importanza dell’interleuchina IL10 implicata nella produzione delle cellule CD4 T e quindi degli effetti immunomodulatori del microbiota intestinale”.

In ricerche con topi senza germi, la resistenza allo sviluppo dell’encefalomielite autoimmune sperimentale fu invertita con il trapianto di microbiota fecale da topi normali. “Inoltre, la presenza di specifici batteri filamentosi Gram-positivi segmentati nel tratto gastrointestinale, che attivano le cellule Th17, influenza significativamente la gravità dell’encefalomielite sperimentale autoimmune” spiegano Cryan et altri.

I risultati da altri studi con topi senza-germi suggeriscono il coinvolgimento del microbiota intestinale nella regolazione della produzione di mielina nella corteccia pre-frontale e nella regolazione della barriera ematoencefalica. Nell’indagine successiva, danni all’integrità della barriera ematoencefalica sono riparati grazie all’introduzione nella dieta di molecole composte da brevi catene di acidi grassi o di batteri che li producono.

Uno studio pilota del 2018 ha dimostrato che la gestione dell’assunzione di un probiotico per 2 mesi diminuiva la concentrazione di organismi collegati ad alterazioni della flora batterica nella Sclerosi Multipla, così come “molti percorsi associati alle alterazioni delle funzioni del microbiota intestinale in pazienti con Sclerosi Multipla, quali il metabolismo del metano”. Il supplemento di probiotici inoltre “induce una risposta immune anti-infiammatoria periferica caratterizzata da una diminuita frequenza di monociti infiammatori, diminuita intensità del mezzo fluorescente di CD80 su moniciti classici, così come diminuzione degli antigeni dei leucociti umani (HLA) D collegati all’intensità del mezzo fluorescente nelle cellule dendritiche.

Ampi studi sono stati implementati per investigare la fattibilità e l’efficacia di strategie di trattamento basate sul microbiota per ridurre i sintomi e la frequenza delle ricadute nella Sclerosi Multipla.

Disturbi dello Spettro Autistico

È stato stimato che fattori non ereditari danno conto di più del 50% della neurobiologia dei Disturbi dello Spettro Autistico. Sintomi gastrointestinali significativi sono spesso presenti fra persone autistiche e rappresentano un elemento sottostimato in comorbidità in questa popolazione.

In studi trasversali, i ricercatori hanno osservato un’alterata composizione del microbiota in individui con ASD (Disturbi dello Spettro Autistico), e studi sugli animali hanno aiutato a delucidare i meccanismi sottostanti che collegano il microbiota al ASD. In uno studio del 2019 si riportava su Cell, topi senza-germi (cioè che non hanno alcun tipo di microorganismo al loro interno) mostrarono tutti i segni tipici del comportamento autistico dopo essere stati sottoposti a trapianto di microbiota intestinale da esseri umani con ASD.

La flora batterica alterata è stata rilevata in topi con fattori di rischio ambientali per l’ASD, come un’infiammazione nella madre o la somministrazione di valproato durante la gestazione. La somministrazione di singoli ceppi di batteri dimostrò l’inversione di vari comportamenti relativi al Disturbo dello Spettro Autistico e cambiamenti gastrointestinali sia negli esseri umani che negli studi animali, e la somministrazione di fermenti probiotici o la loro individuazione furono collegati alla modulazione dei comportamenti sociali nei modelli animali del ASD.

In un recente piccolo studio pilota, bambini con ASD sottoposti a terapia per trasferimento del macrobiota mostrarono significative riduzioni nei sintomi gastro-intestinali  come dolore addominale, diarrea, e costipazione così come miglioramenti nei comportamenti tipici del ASD. Questi cambiamenti persistettero per almeno 2 anni dopo il trasferimento del microbiota. Si necessitano ulteriori studi più ampi per esplorare ulteriormente il potenziale di questo tipo di interventi per modificare i sintomi dei Disturbi dello Spettro Autistico.

Parkinson

Molti pazienti con Parkinson sperimentano sintomi intestinali funzionali molti anni prima dell’insorgenza dei sintomi motori, e un certo numero di piccoli studi hanno dimostrato alterazioni della composizione della flora batterica in questi pazienti. In uno studio del 2016, il trapianto di microbiota fecale da pazienti con Parkinson determinarono deficit motori e neuroinfiammatori nei topi, e sintomi comportamenti furono migliorati con trattamento antibiotico.

I ricercatori hanno riportato la presenza di α-sinucleina nella mucosa e nella submucosa di fibre nervose e nei gangli della base di individui con Parkinson, e le evidenze precliniche supportano la possibilità che α-sinucleina possa essere trasportata dall’intestino al cervello per il tramite del nervo vago. “Il nervo vago è particolarmente ben posizionato per essere il conduttore di segnali dall’intestino al cervello, sia attraverso il trasporto di piccoli o grandi molecole, quali la traslocazione della α-sinucleina simil-prione, o neuronalmente per il tramite di segnali elettrici” hanno affermato Cryan, et al.

Studi epidemiologici hanno dimostrato effetti protettivi della vagotomia a livello del tronco nello sviluppo del Sindrome di Parkinson, e i modelli sul topo hanno dimostrato che questa procedura preveniva la trasmissione dall’intestino al cervello di α-sinucleinapatia e danni comportamentali neurodegenerativi associati.

In più, il microbiota intestinale può influenzare il corso di disordini neurologici per il tramite dell’interazione con trattamenti medici come la Levodopa. In uno studio del 2019 pubblicato in Science, per esempio, “l’identificazione della tirosina decarbossilasi, come mediatore predominante della decarbossilazione della L-dopa associata al microbiota offre un potenziale bio-marcatore per la riduzione dell’efficacia della L-Dopa in alcune popolazioni”, hanno annotato gli autori. “Ciò inoltre offre nuove possibilità per terapie personalizzate basate sull’individuazione di biomarcatori che rilevano l’inibizione della TyrDC come terapia addizionale rispetto alla classica inibizione dei AADC”.

Usando modelli umani ex-vivo basati su sospensioni fecali da pazienti con Parkinson e il gruppo di controllo sano, i ricercatori hanno osservato una sostanziale variabilità nel metabolismo della L-dopa tra diversi microbiota intestinali. Hanno inoltre rilevato che l’abbondanza di tirosina decarbossilasi e Enterococcus faecalis discriminava tra il campione che la metabolizzava e da quello che non la metabolizzava, e una correlazione lineare tra tirosina decarbossilasi e enterococcus faecalis.

Direzioni future.

Dato che gli studi riguardanti la connessione tra il microbiota intestinale e i disordini neurodegenerativi rappresentano un’area nuova di investigazione, si necessitano ulteriori ricerche. In ultima analisi, l’obiettivo è quello di determinare se “possiamo trasferire tutte le fantastiche conclusioni derivanti dai modelli animali al setting clinico negli esseri umani” ha detto il dr. Cryan, che aggiunte che la dieta è uno delle migliori vie per modificare il microbiota. “Sebbene tale ricerca è ancora ad un livello embrionale, la buona notizia è che, diversamente dal nostro genoma dove possiamo solo incolpare i nostri genitori e nonni, il nostro microbioma è potenzialmente modificabile, e questo potrebbe dare ai pazienti la possibilità di agire su alcuni dei fattori che influenzano la salute del loro cervello”.

References

  1. Roy Sarkar S, Banerjee S.Gut microbiota in neurodegenerative disorders.J Neuroimmunol. 2019;328:98-104
  2. Cryan JF, O’Riordan KJ, Sandhu K, Peterson V, Dinan TG.The gut microbiome in neurological disorders.Lancet Neurol. 2020;19(2):179-194
  3. Tremlett H, Fadrosh DW, Faruqi AA, et al.Gut microbiota in early pediatric multiple sclerosis: a case-control study. Eur J Neurol. 2016;23(8):1308–1321
  4. Tankou SK, Regev K, Healy BC, et al.A probiotic modulates the microbiome and immunity in multiple sclerosis.Ann Neurol. 2018;83(6):1147–1161
  5. Sharon G, Cruz NJ, Kang DW, et al.Human gut microbiota from autism spectrum disorder promote behavioral symptoms in miceCell. 2019;177: 1600–1618
  6. Kang DW, Adams JB, Coleman DM, et al.Long-term benefit of Microbiota Transfer Therapy on autism symptoms and gut microbiota. Sci Rep. 2019;9(1):5821
  7. Svensson E, Horvath-Puho E, Thomsen RW, et al.Vagotomy and subsequent risk of Parkinson’s disease.Ann Neurol. 2015; 78:522–529
  8. Liu B, Fang F, Pedersen NL, et al.Vagotomy and Parkinson disease a Swedish register-based matched-cohort study. Neurology. 2017; 88(21):1996–2002
  9. Kim S, Kwon SH, Kam TI, et al.Transneuronal propagation of pathologic α-synuclein from the gut to the brain models Parkinson’s disease.Neuron. 2019;103(4):627-641.e7

 

Una risata seppellirà i cyber-falliti

Purtroppo spesso le persone con disabilità, piuttosto che lottare per ottenere ciò che desiderano, si aspettano che gli altri concedano loro il permesso di realizzare i propri obiettivi. Ciò fa sì che ci sarà sempre qualcuno che si arrogherà il diritto di pontificare su ciò che ci è concesso e ciò che non lo è, su ciò che è consono per un disabile e ciò che non lo è…

C’è stato un tempo in cui la magra consolazione, l’ultima spiaggia dei falliti, cioè di coloro che preferiscono crogiolarsi nell’idea che c’è chi sta peggio piuttosto che fare qualcosa di positivo per loro stessi, erano proprio i disabili i quali stavano buoni e zitti nei loro recinti esistenziali, nella triste e sconsolata consapevolezza del fatto che, in quanto handicappati, a questo giro dovevano semplicemente passare e sperare nella gioia eterna del paradiso.

Oggi giorno, invece, ti si presentano questi disabiloni da battaglia come Annalisa Minetti (ma anche tanti altri) che prendono il toro per le corna e lo sbattono contro il muro. Voce potente che spacca i muri, vince Sanremo nel 2007, poi partecipa alle gare paralimpiche di atletica vincendo qua e là qualche medaglia e fissando qualche record mondiale per categoria, si sposa ben 2 volte!!! e fa ben 2 figli, nel frattempo si iscrive all’università e supera esami.

E allora a me, francamente, viene da provare tenerezza e un po’ di pena per tutti coloro  (sempre una minoranza c’è da dirlo) che non possono neanche avere il conforto di pensare che almeno i disabili stanno peggio di loro. Posso immaginare il loro fegato contorcersi e comprendo (ma non lo giustifico sia chiaro!) il livore con cui la biasimano. Nel frattempo rido e penso che magari chi stigmatizza il suo aver messo al mondo figli che non potrà mai vedere ha la vista, ma i propri figli non li guarda mai.

Penso che in tutti questi anni la Minetti, di persone che blateravano su ciò avrebbe o non avrebbe potuto fare ne avrà incontrate tante, ma saggiamente ha deciso di impegnare le proprie energie per fare ciò che l’appassiona, per migliorarsi e ottenere successi, piuttosto che sprecarle nell’impresa impossibile di convincerle che avrebbe potuto ottenere i risultati che ha ottenuto.

E mentre molti si affrettano a soccorrerla con la loro indignazione verso alcuni commenti meschini, io la immagino ridere in faccia a questi miserandi le cui unghie stridono sugli specchi sui quali tentano invano di arrampicarsi riuscendo, peraltro, solo a torturare la grammatica: “Credo che avrà una stregua di persone che l’aiutano”. Ok magari qualcuno che l’aiuta ce l’avrà pure, ma talento, impegno, determinazione e spirito di sacrificio non te li può dare nessuno. E quindi l’alibi che gli altri riescono solo perché sono più ricchi, più fortunati, più aiutati (ecc.) non regge.

Nella vita c’è sempre qualcuno che ne ha più di te, che è più intelligente, più forte, più resistente, più determinato… Accettarlo infonde una grande serenità. Soprattutto ci predispone a rimboccarci le maniche e migliorare la nostra vita.  Il più delle volte, invece, si preferisce dare fondo all’invidia e alle più basse insinuazioni per evitare di fare i conti con i propri limiti.

Non è un caso che siano quasi sempre le donne ad essere vessate, discriminate e cyber-bullizzate: talentuose, multi-tasking e capaci di sopportare difficoltà e sofferenze estreme, sono portatrici inconsapevoli di una manifesta superiorità… e per questo sono fatalmente oggetto di tanto odio.

Sclerosi Multipla pediatrica: la vita continua… anche in sedia a rotelle.

Tipicamente l’età d’esordio della Sclerosi multipla viene individuata tra i 15 e i 60 anni. Le recenti evidenze cliniche hanno portato alla luce, purtroppo, anche l’esistenza della forma pediatrica della malattia individuando la possibilità di esordio anche tra i 5 e i 15 anni. Per sensibilizzare su questo argomento l’AISM ha realizzato un video che raccoglie e sintetizza le storie di vita di ragazzi colpiti nell’infanzia o nell’adolescenza dalla patologia.

Nel video emergono questioni che si prestano ad una comprensione intuitiva, come lo shock e i sentimenti di rabbia  e disperazione che colpiscono questi giovani pazienti. Esso però ha portato alla luce anche aspetti a cui si riserva minore attenzione e che, soprattutto trattandosi di ragazzi e ragazze, hanno tuttavia un ruolo determinante nell’incrementare il livello di sofferenza e possono inficiare la compliance al trattamento.

Un fattore è sicuramente la risposta dell’ambiente familiare: è importante che i genitori  affrontino la malattia nella convinzione che nonostante essa, il/la figlio/a possa realizzare un presente e un futuro ricco di soddisfazioni personali in tutti gli ambiti della vita. Per far ciò è importante farsi sostenere psicologicamente per elaborare l’inevitabile sofferenza e adattarsi alle nuove situazioni che si susseguiranno nel decorso della malattia.

Una malattia pervasiva ed invasiva come la SM determina uno stravolgimento nell’area corporea e delle relazioni, fino a costringere chi ne è affetto a continue ridefinizioni della propria identità. E’ normale quindi attendersi che al momento della diagnosi e ad ogni ricaduta o peggioramento possano emergere sentimenti di disperazione e vissuti che “il mondo sia crollato” o che “ci si senta da buttare”. Ma se questi giovani lottatori sono in grado di superare ogni volta questi sentimenti è fondamentale che lo faccia anche chi sta loro vicino. Non si tratta di dissimulare la tristezza o la sofferenza, quanto di elaborarla al fine di costruire relazioni autentiche in cui entrano in gioco sia le difficoltà della malattia sia le risorse del paziente e che siano caratterizzate da tutte le emozioni connesse alla reale situazione del paziente e non a spettri evocati dall’anticipazione del decorso della malattia.

Per far in modo che i pazienti, mentre si impegnano nelle cure, continuino le loro attività di studio e di socializzazione, è importante fronteggiare i pregiudizi veicolati da chi non vive la realtà della malattia. Essi possono essere combattuti ad un livello macro-sociale, con campagne di sensibilizzazione, ma anche a livello individuale. I pazienti devono essere preparati a gestire le emozioni che sperimentano di fronte a comportamenti di rifiuto o  pregiudizio. Queste risposte dell’ambiente sociale non sono dettate da cattiveria o malafede. Per questo motivo è possibile smentire false credenze fornendo informazioni, ma anche consentire alle persone di superare le proprie paure semplicemente cimentandosi nelle attività quotidiane come tutti e mostrandosi per quello che si è, nelle difficoltà così come nella propria normalità. Al contrario, eccessive risposte emotive e il conseguente ritiro dalle attività di socializzazione non fanno che alimentare il dolore e la reattività emotiva, con il rischio che si vada a instaurare una vera e propria fobia sociale. In questo processo, è di fondamentale importanza il gruppo dei pari (altri pazienti con SM della stessa fascia di età), ma esso deve fungere come una base sicura per i momenti in cui si sente il bisogno di essere consolati e compresi, non deve diventare l’orizzonte ultimo di tutti gli scambi di socializzazione. L’identificazione immediata funge da fattore di rinforzo molto potente, per questo bisogna stimolare l’apertura all’esterno e il superamento della zona di comfort.

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Infine, bisogna considerare che nella nostra cultura l’handicap è un tabù e ogni persona, ancorché disabile, può essere portatrice di pregiudizi. Essi hanno un peso fortissimo nell’economia intrapsichica di chi è al contempo portatore e destinatario di pensieri negativi e svalutanti. Per questo motivo è necessario condurre una battaglia culturale anche sul “fronte interno”: la sedia a rotelle deve cessare di essere un tabù, il simbolo dell’ultima spiaggia da evitare a tutti i costi. Essa è semplicemente un ausilio, un mezzo che all’occorrenza può aiutare a continuare a vivere preservando livelli più o meno ampi di autonomia.

In ultima analisi la resilienza, cioè la capacità di fronteggiare le avversità, è fatta sì di grande forza di volontà e impegno, ma anche della capacità di adattarsi creativamente alle situazioni, tenendo in conto la possibilità di assumere stili di vita differenti. Chiudersi all’interno di un unico modello normativo riduce i gradi di libertà della persona e il suo livello di empowerment perché tante opzioni vengono neglette.

Riferimenti: https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/disturbi-demielinizzanti/sclerosi-multipla

Relazione operatori con utenti disabili e anziani

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La comunicazione con l’anziano ed il disabile: saper comprendere esigenze e difficoltà dell’assistito.

Le tecniche generali per comunicare efficacemente sono le seguenti: Evitare di utilizzare le cosiddette barriere alla comunicazione:

Valutazione: bisogna evitare di esprimere giudizi di valore o sul comportamento della persona assistita: “Sei cattivo”, “Sei stupido”. Anche esprimere giudizi positivi può risultare manipolatorio: dire “Sei buono” può indurre la persona assistita a comportarsi in maniera compiacente per ricevere l’apprezzamento. Anche dire che un comportamento è sbagliato senza cercare di capire i motivi per i quali la persona lo mette in atto determina conflitto, svalutazione e comunque porta la persona a ripetere il comportamento o addirittura amplificarlo. Se il comportamento ha delle conseguenze negative, pratiche o relazionali, è bene esprimerle per fare un bilancio dei pro e dei contro al fine di trovare una mediazione: ad es. con una persona anziana “Capisco che hai l’abitudine di scendere da solo le scale, ma sarebbe meglio mi chiamassi così posso aiutarti ed evitare che tu possa cadere”

Indagine: in una relazione con una persona con disabilità o anziana è naturale che ci sia la necessità di porre domande per acquisire informazioni. Tuttavia, queste richieste devono essere poste in maniera non indagatoria tenendo presente che la persona assistita ha comunque sempre il diritto alla propria privacy e al mantenimento di una sfera privata. Per acquisire informazioni è possibile porre domande aperte: “Come ti senti oggi?”, “Cosa vorresti fare questa mattina?”, “Cosa ti piacerebbe mangiare?”. Evitare domande del tipo: “Ti senti male?”, “Vuoi andare a fare una passeggiata?”, “Vuoi la minestra?”. Tutte queste domande convogliano l’attenzione su qualcosa di specifico scoraggiando l’espressione di altri desideri o stati d’animo. Ciò implica la necessità di fare altre domande. È fondamentale costruire un rapporto di fiducia e dare la possibilità di esprimere tutto ciò che l’utente desidera. È necessario dare il tempo alla persona di riflettere ed esprimersi. Persone con handicap o anziane possono avere tempi di reazione e di decisione più rallentati.

Sostegno: molto spesso le persone anziane o disabili vivono momenti di profondo sconforto, rabbia o paura a causa di una condizione alla quale non c’è possibilità di miglioramento radicale. Bisogna sempre evitare di minimizzare le problematiche o di riempire i silenzi con frasi di circostanza: “Vedrai che si sistemerà tutto!”, “Dai non è un
dramma”, “Fatti coraggio”. Il silenzio e la presenza empatica caratterizzato da un atteggiamento attento e disponibile è la postura più adatta in situazioni come queste. Rogers diceva che l’empatia è la capacità di comprendere la paura, la rabbia o la tristezza dell’altro senza aggiungere la propria paura, la propria rabbia e la propria tristezza. Ciò implica la necessità di conoscere le proprie emozioni nella relazione e saperle gestire.

Interpretazione: nella comunicazione è sempre bene evitare di attribuire significati ad un comportamento o a quello che ci viene detto, diverso da quello esplicito; andare alla ricerca di significati ulteriori il più delle volte ci porta fuori strada, ad attribuire significati negativi e, di conseguenza, a sfiducia e conflitto nella relazione. Ad esempio, pensare che una persona con disabilità faccia cadere più volte una cosa per farci un dispetto è una tipica interpretazione, infondata e fuorviante, che determinerà nell’operatore rabbia e conflittualità. Nel caso ci sia il dubbio che una frase o un comportamento sia portatore di un significato implicito è meglio esprimere questo dubbio e parlarne in modo da verificare quest’ipotesi e parlare apertamente. Non bisogna dare per scontato di conoscere ciò che pensa l’altra persona.

Usare la tecnica della riformulazione e delle domande aperte: per migliorare la comunicazione è bene ripetere ciò che la persona con disabilità o l’anziano hanno detto, soprattutto quando ci si trova in presenza di problemi di linguaggio. Ciò permette di verificare l’esatta comprensione di ciò che è stato detto e restituisce alla persona la sensazione di essere ascoltata. Oltre alla riformulazione si possono usare le domande aperte che consentono alla persona di esprimere ciò che vuole liberamente, senza entrare troppo nello specifico o in cose che non vuole esprimere.

La Comunicazione Non Verbale: buona parte della comunicazione passa attraverso l’espressione del viso, i gesti, la postura, il tono di voce. Bisogna sempre tenere presenti questi segnali in quanto danno significato alle parole e ci permettono di sintonizzarci sullo stato d’animo altrui. È bene tenere presente che la comunicazione non verbale “tradisce” i nostri pensieri e stati d’animo quindi è sempre importante evitare di dissimulare in quanto è estremamente difficile e anche se la persona non se ne rende conto, percepisce in qualche modo che chi lo sta aiutando non è autentico e ciò mina la
fiducia nel rapporto di assistenza che è invece fondamentale. Ovviamente in caso di patologie neurologiche il non verbale può essere indice di stati d’animo interiori, quanto di deficit del controllo motorio di conseguenza bisogna saper distinguere i due casi differenti (ad esempio tremore di una mano per forte ansia o per principio di Parkinson).

Messaggio-Io: dato che non si possono dissimulare emozioni negative e allo stesso tempo non è possibile agirle in un rapporto di assistenza (non si può alzare la voce se si è arrabbiati o mettersi a piangere mentre si lavora) è utile utilizzare il Messaggio-Io. Generalmente, infatti, quando un comportamento dell’altro ci disturba usiamo espressioni come «Sei la solita disordinata», o «Sei egoista», «Sei tu che mi fai stare male», «Sei inaffidabile», tutte comunicazioni che iniziano con “Tu sei” e danno all’altro un’etichetta che interessa la persona nella sua totalità. Spesso ci aggiungiamo termini come “sempre” e “mai” che contribuiscono a dare un’etichetta generalizzata all’interlocutore, a cui l’altro è portato a ribattere. Si costruisce attraverso quattro passaggi: Quando tu…(e si descrive il comportamento che disturba, in modo concreto, specifico e circostanziato) Io mi sento…(e si descrivono le proprie emozioni) Perché… (e si descrive il motivo delle proprie emozioni) E ti chiedo di…(e si descrive il comportamento desiderato)

Come approcciarsi alla persona con disabilità e/o all’anziano affetto da patologie invalidanti

Nella relazione di assistenza è ancora più importante relazionarsi all’utente con un atteggiamento:

EMPATICO: l’empatia è la capacità di comprendere i pensieri e le emozioni di una persona in un dato momento e rispetto ad una determinata situazione. L’empatia non è identificazione. Ogni persona ha il suo modo unico di reagire agli eventi non si può quindi attribuire all’altro come staremmo noi nella sua situazione. La comprensione
empatica si ottiene attraverso l’ascolto attivo applicando cioè la tecnica della riformulazione e le domande aperte, nonché l’ascolto degli elementi paraverbali del linguaggio. Oltre a ciò bisogna sviluppare la capacità di comprendere i segnali inviati tramite il non-verbale.

AUTENTICO: la fiducia in una relazione di assistenza è fondamentale ed imprescindibile. Il modo migliore per costruire un rapporto di fiducia è l’atteggiamento autentico che consiste sostanzialmente nell’essere sinceri e congruenti. Non significa essere spontanei a tutti i costi, dire la propria opinione anche quando non richiesta, bensì dire sempre la verità quando ci viene chiesto. NON BISOGNA DIRE TUTTO CIO’ CHE SI PENSA, TUTTAVIA BISOGNA PENSARE TUTTO CIO’ CHE SI DICE. Come detto la nostra mimica facciale i gesti e l’intonazione di voce tradiscono i nostri pensieri e le nostre emozioni, quindi la mancanza di congruenza il contenuto e l’atteggiamento viene sempre percepita da chi viene assistito anche se magari non se ne rende conto, ad un livello inconsapevole sente di non potersi fidare di chi lo assiste.

ASSERTIVO: la migliore qualità di un operatore è la costanza. Cioè riuscire a dare un buon livello di prestazione nei servizi che svolge per l’utente lungo tutto l’arco della giornata o del turno lavorativo. Inoltre, se il rapporto di assistenza dura per tanti anni si evita all’utente lo stress del cambiamento. Per durare tanti anni in una stessa situazione è necessario che l’assistente sappia tutelare la propria salute fisica e mentale, senza prevaricare le necessità e i diritti dell’utente. Per tale motivo è necessario avere un atteggiamento né passivo (subire tutto in modo compiacente anche a discapito proprio); né aggressivo (alzare la voce o le mani per condizionare il comportamento dell’assistito); né passivo-aggressivo (mostrarsi compiacenti per poi fare dispetti con i quali agire la rabbia repressa). L’assertività è la capacità di esprimere i propri bisogni e i propri diritti, le proprie sensazioni positive e negative, senza violare i diritti ed i limiti altrui.

Per essere assertivi bisogna essere capaci di:

  • Identificare ed esprimere le proprie sensazioni; • Definire e rispettare i limiti; • Comunicare ed ascoltare in modo aperto, diretto e congruente;
  • Avere la consapevolezza di avere tutti i diritti ai propri bisogni e necessità.

Quali diritti ha l’operatore?

  • Il diritto ai propri valori, pareri ed emozioni;
  • Il diritto di cambiare, modificare e sviluppare la propria vita senza arrecare un danno all’utente;
  • Il diritto a non doversi giustificare per le proprie sensazioni o comportamenti, tuttavia è importante saperle spiegare e trovare una mediazione.
  • Il diritto di vedere rispettati i propri bisogni e limiti;
  • Il diritto di dire “NO” quando una richiesta può ledere la salute fisica, mentale e morale ricercando una mediazione e una soluzione creativa insieme all’utente per conciliare i bisogni di entrambi;
  • Il diritto a chiedere aiuto e informazioni senza dover avere sensazioni negative di vergogna e di colpa;
  • Il diritto di prendersi il tempo e l’aiuto necessari a formulare le proprie idee e desideri prima di esprimerli;
  • Il diritto a fare errori;
  • Il diritto di cambiare idea o a volte anche a comportarsi illogicamente.
    Dire di “NO”: perché? E come?

Essere incapaci di dire “NO” ci mette nella condizione di dire “Sì” anche quando vorremmo dire “NO”; Dire “Sì” quando vorremmo dire “NO” mortifica la nostra capacità di controllare la nostra vita; ci spinge a prenderci più responsabilità di quelle che vorremmo; ci mette nella condizione di dover assolvere a più compiti di quelli che ci permettono i nostri limiti fisici, psicologici e intellettuali; ci fa accumulare stress con pesanti ripercussioni sulla salute fisica e mentale; Dire “ NO ” può essere molto difficile; le persone con bassa autostima molto spesso hanno anche una mancanza di assertività e pensano di doversi adattare a tutte le aspettative che gli altri hanno su di loro. A volte si sentono come vergognose, o colpevoli, nel dire di NO. Il fare le cose contro la propria volontà e possibilità non fa altro che farli sentire ancora più abusati e arrabbiati. Alcuni modi di dire “ NO”: “Non posso fare questa cosa adesso”; “Spiacente, ma NO”; “Abbi pazienza ma non posso proprio venire”; “Preferirei di NO”; “Questa cosa non la posso fare in questo modo perché mi crea questo problema, troviamo insieme un modo alternativo?”

Prendere decisioni corrette e congruenti per essere coerenti. Se qualcuno vi fa una richiesta avete il diritto di chiedere un po’ di tempo per pensarci. La decisione dovrebbe spettare a voi, ma alle volte è difficile riuscire a dire NO immediatamente. Potete provare ad usare un NO empatico e spiegare i motivi del rifiuto senza dare l’impressione di giustificarsi.

Gestire il conflitto. Vivere in un ambiente dove ci sono conflitti irrisolti è, a lungo andare, deleterio per tutti perché le energie vengono tutte assorbite dal conflitto è non c’è possibilità di progredire o di creare una condizione di benessere; si vive in una condizione di oppressione e divisione. D’altra parte, può esserci qualcuno nel sistema relazionale che pensa di trarre vantaggio da una permanente situazione di conflitto: è la classica strategia del dividi et impera. Una delle prime cose da fare nella gestione del conflitto è individuare se c’è qualcuno nel sistema relazionale (es.: famiglia) che cerca, consapevolmente o meno, di trarre vantaggio dalla situazione di conflitto e di svelare il suo copione. Una volta svelato questo gioco è più facile evitare di farsi coinvolgere in sterili discussioni. Altre volte i motivi del conflitto sono più genuini. Alcuni esempi possono essere le differenze negli obiettivi, nei valori, negli interessi; Incomprensioni; Bisogni non soddisfatti.

Cosa ci spinge a subire i conflitti?

  • La convinzione che le cose non possano cambiare;
  • La paura di incorrere in guai, se si cerca di mediare tra due persone in conflitto o di reagire all’aggressività altrui.
  • La scarsa autostima;
  • Il dubbio di essere l’unica persona a credere che ci sia qualcosa di sbagliato e a stare male;
  • La tendenza a delegare agli altri le responsabilità.

Accettazione del conflitto e empatia. Esiste una relazione biunivoca tra l’empatia e la capacità di riconoscere ed affrontare i conflitti: se non siamo disposti a riconoscere un conflitto, in tutta probabilità tenderemo ad ignorare i bisogni dell’altro (spesso il più debole) allo stesso tempo se non siamo in grado di comprendere i sentimenti e i bisogni altrui, difficilmente riusciremo a trovare una mediazione tra le parti in conflitto.

Strategie per risolvere i conflitti:

  • Identificare e definire il problema: per fare ciò bisogna innanzitutto esprimere ciò che si prova e si pensa in prima persona Vedi barriere comunicazione e Messaggio-Io;
  • Proporre differenti soluzioni: chiedete al vostro interlocutore di proporre una soluzione, nel frattempo elaborate delle vostre proposte e fate una lista di opzioni possibili;
  • Prendete una decisione comune: non cercate di persuadere la persona ad accettare la “vostra ” soluzione, inoltre definite in maniera chiara ed inequivocabile una modalità che possa essere congeniale ad entrambe le parti;
  • Attuate la decisione presa: dopo aver deciso il da farsi bisogna accordarsi su come farlo (CHI deve fare COSA e QUANDO); è bene che le responsabilità e i compiti siano divisi equamente;
  • Fate una valutazione della strategia impiegata: dopo aver intrapreso la pratica concordata fate, insieme al vostro interlocutore, una valutazione degli effetti di essa e rinegoziate, SEMPRE INSIEME, eventuali cambiamenti.
    I pensieri auto-distruttivi. Spesso siamo noi stessi la con-causa dei conflitti di cui siamo vittime e attori. Ciò avviene quando nella nostra mente prevalgono i pensieri negativi, quando pensiamo che siamo circondati da persone che vogliono deliberatamente farci del male. Quando ci rendiamo conto che queste idee ricorrono dentro di noi dobbiamo procedere con il cosiddetto reality testing spingendo gli altri ad esprimere le loro “reali” motivazioni.

RISERVATO: nell’assistere una persona anziana o disabile ci si trova a vivere pezzi della sua vita molto intimi: visite mediche, relazioni private con amici, conoscenti e familiari, riunioni di lavoro o situazioni legate alla sessualità. IN NESSUN MODO CIO’ CHE SI APPRENDE IN QUESTE SITUAZIONI DEVE ESSERE RIFERITO AD ALTRI. L’ASSISTENTE E’ TENUTO AL MASSIMO RISERBO DI TUTTO CIO’ CHE RIGUARDA LA SFERA PERSONALE DELL’UTENTE E CHE APPRENDE INCIDENTALMENTE. Inoltre, bisogna astenersi dal commentare o fare dello spirito riguardo questioni intime senza il permesso della persona stessa.

RISPETTOSO: il rispetto è fondamentale in qualsiasi relazione. Esso va inteso sia nel non avere comportamenti offensivi o prevaricatori nell’Io-Tu della relazione con l’utente, ma soprattutto in presenza di altre persone. Molto spesso gli altri tendono a relazionarsi con l’assistente anche quando la persona è perfettamente in grado di intendere e volere di relazionarsi e comunicare. L’ASSISTENTE NON DEVE MAI ASSECONDARE QUESTO ATTEGGIAMENTO E LASCIARE IL TEMPO ALLA PERSONA ASSISTITA DI RISPONDERE.

“Liberi di Fare”: assistenza autogestita per tutti!

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Liberi di fare Manifestazione per la vita indipendente. Roma, 8 giugno 2018 ore 15 Piazza del Popolo

Per comprendere come si può sentire una persona disabile quando viene messo in discussione un così essenziale servizio, è sufficiente fare un semplice esercizio di immedesimazione: immaginiamo che qualcuno ci dica che da domani, forse, non potremo più uscire di casa, che non potremo più andare al lavoro, che non potremo più frequentare i nostri amici o svolgere le nostre attività di socializzazione preferite. Immaginiamo che qualcuno ci dica che, forse, da domani non potremo più prenderci cura del nostro corpo, alzarci dal letto e cominciare la giornata così come abbiamo fatto oggi e come facciamo da mesi e da anni.

Tutto viene pervaso da un senso di precarietà, ogni nostra attività non è più garantita, fare progetti diventa un puro esercizio speculativo, il futuro viene sostituito da un punto interrogativo, smettendo di rientrare nella sfera di ciò che possiamo controllare e gestire.
Per dirla in termini psicologici e dotti, la persona non ha più un locus of control interno, bensì esterno: la sua vita è dominata da fattori esterni alla propria volontà e alle proprie capacità, è in balia degli eventi.

Questo è un emblematico esempio di come i processi socio-economici abbiano riflessi sulle persone, tali da produrre disagio psicologico e persino psicopatologia. Quando infatti una persona percepisce di non avere più il controllo della propria vita e che tutti i suoi sforzi determinano comunque esiti negativi (learned helplessness e learned hopelessness), si instaurano sentimenti di impotenza e di disperazione, correlati a loro volta ad ansia, depressione, stress, immuno-soppressione e altre patologie a base organica, correlate all’asse psico-neuro-endocrino-immunologico.
Il ruolo della psicologia in questi casi non è solo quello di curare le patologie o prevenirne l’aggravamento, ma – così come ci insegna la psicologia di comunità – anche quello di agevolare i processi di aggregazione sociale fra persone che vivono una condizione oggettiva simile, come quella della disabilità, affinché insieme siano più efficaci nel difendere ed espandere servizi primari e imprescindibili come l’assistenza.
Innanzitutto, è necessario lavorare per accogliere e attenuare il senso di sgomento, choc ed ansia ripristinando la speranza. In secondo luogo, è possibile lavorare per agevolare processi di socializzazione improntati alla collaborazione, facendo ben consapevolizzare che la “politica dell’orticello” è controproducente e che il potere del singolo tanto cresce quanto più aumentano numerosità e coesione di gruppo, nonché si rinforza il senso di lealtà fra i suoi componenti.
Il detto divide et impera (“dividi e domina”) ci ricorda che tanto più un gruppo o una società sono frammentati, tanto più è facile imporre misure e politiche inique. Purtroppo chi vive una condizione di sofferenza può essere preso in scacco da questa stessa sofferenza, che diventa una lente attraverso la quale si guarda la realtà distorcendola. La sofferenza può cioè diventare il motivo per un approccio autoreferente alla vita, una specie di “pulpito” dal quale giudicare tutto e tutti, ma che, fatalmente, ci isola dagli altri e ci rende soli e più deboli.

Nel mondo della disabilità ciò accade in maniera ricorrente: ogni sottocategoria – e ogni persona all’interno di esse – afferma che la propria condizione di disabilità è la peggiore e quella più meritevole di rivendicazioni e tutele.
Se è vero, però, che ogni condizione è diversa dall’altra, è altrettanto vero che per ognuna di esse è valido il principio socio-politico secondo il quale ogni persona ha diritto ad avere i supporti tecnici, economici e assistenziali necessari per compensare la condizione di svantaggio dovuta alla menomazione fisica. Un principio, questo, che non ha una valenza assoluta, bensì storica e che per tale motivo deve essere ribadito periodicamente, con maggior forza proprio nei frangenti storici di crisi.