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Mi presento…

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…qualche nota biografica

Mi chiamo Lelio Bizzarri, originario di Rieti, ho 49 anni. Dal ’97 vivo a Roma che ormai è diventata la mia città di adozione. E’ stato qui infatti che ho vissuto la parte più intensa della mia vita trovandovi l’amore e la compagna di una vita, ho conosciuto tante persone che stimo e ammiro, ho svolto attività politica, studiato e avviato la mia attività di psicologo e psicoterapeuta (Certificato di iscrizione – Area Riservata).

…e ora un po’ di teoria

Un lavoro che mi appassiona e che cerco di condurre con la massima professionalità ed affidabilità deontologica (Clicca qui per vedere il certificato di buona condotta). Dopo la formazione accademica svolta presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, ho proseguito gli studi presso la Scuola Superiore Europea di Counseling Professionale e presso la Scuola di specializzazione quadriennale in Psicologia clinica di comuFoto di gruppo scuola aspicnità e Psicoterapia umanistica integrata – ASPIC. Fondato in origine sui principi ispiratori della filosofia umanistica e sui contributi teorico-metodologici di Rogers e Pearls, quali l’empatia, la consapevolezza emotiva, l’intenzionalità e la responsabilità dell’agire umano, nonché sulla centralità delle emozioni e della qualità della relazione terapeutica, l’approccio dell’ASPIC si è andato sviluppando in una visione pluralistica capace di integrare fra loro i contributi dei diversi orientamenti teorici per come essi si sono evoluti negli ultimi decenni anche grazie a studi empirici che ne hanno comprovato la validità scientifica.

Coerentemente con queste premesse la mia metodologia si fonda sulla costruzione di una relazione empatica basata sulla fiducia, la quale favorisca una comprensione profonda nel mondo interiore della persona che si rivolge a me. L’instaurazione di una relazione terapeutica solida e fluida, così come la valutazione dello stile di personalità e della storia del cliente, sono le premesse per la pianificazione di un percorso terapeutico personalizzato in cui i principi teorici e le tecniche vengono messe al servizio del benessere e del cambiamento verso gli obiettivi scelti dal cliente e concertati con il terapeuta.

Sono Psicologo da più di 16 anni, abilitato all’esercizio della psicoterapia ormai da 9. Nella mia attività ho aiutato giovani a superare momenti di crisi sviluppando un’identità coesa, funzionale ad affrontare efficacemente le sfide della vita. Ho supportato persone che vivevano situazioni di abuso psicologico o esiti patologici di separazioni e relazioni conflittuali. Ho accumulato parecchia esperienza anche con Disturbi di Personalità, Dipendenze, Disturbi dell’Umore e Disturbo dell’Adattamento, con particolare attenzione a persone diversamente abili e Caregiver Familiari.

Anche se molto spesso le difficoltà quotidiane hanno reso il percorso tutt’altro che lineare, posso dire che ho avuto modo di conoscere tante persone che con fatica emotiva, impegno e dedizione hanno trovato il coraggio di diventare consapevoli della loro condizione esistenziale e di sperimentare nuovi modi di stare al mondo, concedendosi così la chance di vivere una vita più felice e fedele ai propri desideri ed obiettivi di vita.

La bellezza del lavoro che svolgo sta proprio nel poter condividere una parte così intensa del percorso di vita di ogni persona.

Chi volesse conoscermi più approfonditamente e interagire con me può visitare i miei account LinkedIn, Facebook e Twitter



Versione audio dell’articolo per persone cieche o ipovedenti

Contributi per psicoterapia

Bonus psicologo 2023: domanda dal 18 marzo al 31 maggio 2024

PER INFORMAZIONI E PER FARE DOMANDA CLICCA QUI


BONUS PSICOLOGICO DELLA REGIONE LAZIO per chi ha meno di 21 anni ed abita nel Lazio. Dal 15 febbraio sarà possibile presentare le domande accreditandosi nella pagina dedicata del portale E-family: https://buonopsicologico.efamilysg.it/

La pandemia ha determinato un incremento di disagio psicologico e necessità di intervento, al tempo stesso la crisi economica ha impoverito le famiglie. Anche se le risorse pubbliche non sono sufficienti a coprire la richiesta di intervento in tema di salute mentale, esistono tante forme alternative di finanziamento messe a disposizione da enti e fondi privati. Di seguito una rassegna di opportunità di rimborso per varie categorie di lavoratori…

Fondo Sanitario Integrativo per i Dipendenti del Gruppo ENEL

Il FISDE (Fondo Integrativo Sanitario per i Dipendenti del Gruppo ENEL) rimborsa €40,00 per ogni seduta di psicoterapia per un massimo di €520,00 all’anno. Inoltre, eroga contributi e servizi a dipendenti con disabilità e ai rispettivi familiari a carico. Per scoprire le modalità di accesso al servizio puoi accedere alla pagina dedicata sul mio sito.


Fasdac – Fondo Assistenza Sanitaria Dirigenti Aziende Commerciali
E’ stato previsto il rimborso delle sedute psicoterapiche anche se effettuate a distanza alla tariffa di €. 35,00 nell’attuale limite complessivo di 70 sedute per anno civile (120 sedute per i soggetti affetti da autismo). Per maggiori informazioni visitare la pagina dedicata sul sito del Fasdac.


CASSA COLF – PSICOTERAPIA PER BADANTI E COLF IN REGIME DI CONVIVENZA POSITIVE AL COVID-19
La CAS.SA.COLF, rimborserà un massimo di € 400,00 per persona e per anno, a seguito di presentazione di documentazione comprovante la frequentazione di sedute presso uno psicologo o presso uno psicoterapeuta regolarmente iscritti all’albo. Il rimborso è dedicato a badanti e colf che lavorano in regime di convivenza che abbiano ricevuto un provvedimento di isolamento fiduciario per sospetto covid-19 o che siano risultate positive.

Clicca qui per visionare il regolamento

Clicca qui per scaricare il modulo


ENPAM – MEDICI ED ODONTOIATRI

Medici ed odontoiatri possono usufruire di rimborso psicoterapia se hanno sottoscritto i seguenti piani di assistenza sanitaria integrativa:

  1. MATERNITA PLUS – 3 sedute di psicoterapia post parto
  2. OPTIMA PLUS – sedute di supporto psicologico per malattia oncologica per un massimo di €500,00

CASAGIT Salute Società Nazionale di Mutuo Soccorso dei giornalisti italiani “Angiolo Berti”
Rimborsa 30,00 per a seduta per un massimo di 30 (40 in caso di minori) ai propri soci ordinari (giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti all’Ordine dei Giornalisti praticanti iscritti nel Registro tenuto dall’Ordine dei Giornalisti, giornalisti iscritti all’Elenco stranieri annesso all’Albo dei Giornalisti, pensionati Inpgi, lavoratori subordinati o parasubordinati iscritti collettivamente tramite enti, associazioni, società, sindacati; le società di mutuo soccorso e i fondi sanitari integrativi (come mutualità integrata per i loro iscritti).

Per informazioni su come accedere al contributo è possibile contattare la Casagit lun-ven ore 9-18, sab ore 9-13 T. +39 06 548 831


 

Il senso della vita è… provare emozioni

Le emozioni sono il carburante della nostra vita, ciò che ci fa sentire vivi e che motiva la stragrande maggioranza dei nostri comportamenti: che si sia alla ricerca di un’emozione positiva o si voglia evitarne una negativa sono sempre esse le protagoniste del nostro agire.

Hanno un impatto sul modo di pensare orientando la nostra Weltanschauung (Concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo), modificano a lungo termine la chimica del nostro corpo fino a condizionarne lo stato di salute.

Per tutti questi motivi si dovrebbe prestare estrema attenzione alla razione quotidiana di emozioni. Così come per l’alimentazione, la nostra dieta emotiva dovrebbe essere equilibrata badando che preveda una giusta razione di emozioni positive e negative.  Molto spesso invece conduciamo un’esistenza nella quale scappiamo dalle emozioni negative e non agiamo intenzionalmente alla ricerca di quelle positive. La stragrande maggioranza dei comportamenti disadattivi o patologici, sono determinati dall’ansia di evitare a tutti i costi le emozioni negative. Parallelamente forme depressive, più o meno acute, nascondono un cattivo rapporto o comunque una carenza di emozioni positive.

Altre volte c’è sia l’uno che l’altro motivo: l’uso di sostanze o di alcol nelle serate con gli amici sono comportamenti con i quali si cerca di sedare emozioni negative, come l’ansia, la noia o il senso di vuoto e, allo stesso tempo, di far baldoria, di dare fuoco alle polveri e far divampare uno stato di euforia incontrollata dando seguito a tutti gli impulsi che normalmente si devono controllare.

La preoccupazione di controllare l’emozione che l’altro può suscitare in noi condiziona pesantemente il nostro modo di essere al mondo e di relazionarci. La paura del giudizio ci spinge a frapporre qualcosa tra noi e il mondo, di vestirci di sovrastrutture, che indirizzino le reazioni altrui verso modalità prevedibili. L’imprevedibilità delle reazioni al nostro essere autentico e spontaneo ci chiama ad essere pronti a gestire un ampio ventaglio di emozioni, in flusso relazionale in divenire che arricchisce il nostro modo di stare al mondo.

Così come esiste una pragmatica della comunicazione, esiste anche una pragmatica delle emozioni: esse non devono essere semplicemente evacuate in maniera catartica ed estemporanea, ma alimentate, condivise e utilizzate per dare sostanza alle relazioni e propellente ai progetti di vita.

Così come l’acquisizione della capacità di accendere e custodire il fuoco ed utilizzarne l’energia è stata una grande innovazione per l’umanità, per ognuno di noi riuscire a suscitare emozioni positive, in noi e negli altri, ha un effetto rivoluzionario.

Imparare a gioire insieme ai propri amici significa moltiplicare i nostri successi, proteggere le relazioni dall’invidia, amplificare la soddisfazione per le cose belle che ci accadono.

Ridere o piangere possono essere eventi rigeneranti o estremamente penosi a seconda che la risata o il pianto siano condivisi con una persona che è in sintonia con noi ed è nostro alleato, o meno.   

Stessa cosa vale per la sessualità: il semplice sfioramento di una mano o uno sguardo possono avere una carica erotica molto più intensa di un rapporto completo se implicano la condivisione di un’emozione condivisa e reciproca.

Essere centrati sulle emozioni in ultima analisi significa puntare sulla qualità delle emozioni. In tal senso non esistono legami fini a loro stessi che hanno motivo di esistere a prescindere da come noi stiamo al loro interno. Una relazione ha senso di esistere finché essa ci dà emozioni positive o ci permettere di elaborare quelle negative. Assaporare fino in fondo tutte le emozioni che ci può dare una relazione, significa, da questo punto di vista non aver paura delle separazioni, significa non svalutare tutto quello che ci ha dato un rapporto, al contrario ci permette di comprendere quando è arrivato il momento di separarsi perché tutto ciò che di positivo ci poteva dare, ci è stato concesso.

La consapevolezza delle proprie emozioni è, in ultima analisi, rispetto per se stessi.

Assistenti di base e collaboratori familiari. Un lavoro prezioso e complesso che necessita “saper essere” per “saper fare”… bene.

Secondo il Censis,  sono 1 milione 538 mila (+42% dal 2001) le persone che svolgono il lavoro di assistente familiare o collaboratore domestico prendendosi cura di 2 milioni 412 mila famiglie italiane (una su dieci), trovandosi così ad educare bambini, accudire anziani e assistere persone con disabilità. Un contributo importantissimo agli equilibri psicosociali di tante famiglie e un sostegno alle madri le quali troppo spesso si trovano ad essere isolate nel lavoro di cura dei familiari e costrette a contrarre le possibilità di crescita professionale o addirittura a rinunciare a lavorare. Un lavoro degno, forse poco retribuito – sicuramente non in maniera adeguata all’importanza del ruolo sociale (la paga media è di 900 euro al mese) -, retribuzione che, tuttavia, consente a chi lo svolge, di vivere onestamente, di risparmiare qualche soldo per il futuro e di finanziare un percorso di studi ed altri progetti di vita per sé o per i propri familiari. Una professione sicuramente snobbata dai nostri connazionali considerando che il 71,6% (più di un milione di posti di lavoro) di coloro che svolgono il lavoro di collaborazione domestica non è di nazionalità italiana e poco più del 25% degli italiani che svolgono questa attività hanno un diploma o una laurea.

Decisamente un lavoro estremamente complesso che richiede una molteplicità di competenze pratiche che possono contemplare una o più delle seguenti mansioni:

  • gestione della casa (pulizia, preparazione pasti, espletamento di commissioni e pratiche) incombenze che non tutti sanno espletare, soprattutto nei più giovani, abituati ad essere accuditi fino all’età della scuola superiore e dell’Università, non è raro riscontrare una sorprendente carenza di abilità pratiche;
  • accudimento ed educazione dei bambini;
  • conduzione di un automezzo e movimentazione di ausili per il sollevamento, trasporto e spostamento di persone con ridotta capacità motoria;
  • assistenza di persone anziane, disabili ed inferme nell’espletamento dei bisogni di pulizia, vestizione, nutrizione, ecc.
  • somministrazione di farmaci il più delle volte per via orale, nei casi più estremi per intramuscolo o tramite la PEG nelle persone con gravi patologie neurologiche sottoposte a tracheostomia.

Tutte queste mansioni non hanno un carattere particolarmente complesso tale da richiedere anni di studio, ma per apprenderle sufficientemente bene per eseguirle con un alto livello di qualità è necessaria una predisposizione mentale, un saper essere che fa la differenza tra il saper fare e il saper fare bene.

Sono richieste qualità quali l’umiltà di svolgere volentieri anche mansioni basilari come quelle di fare le pulizie o riordinare gli ambienti. Molte persone limitano le proprie possibilità di impiego perché dall’”alto” del loro titolo di studio rifiutano di svolgere mansioni che apparentemente sono di basso livello, ma che hanno un’importanza fondamentale: curare l’igiene e l’ordine dell’ambiente domestico o di lavoro è un elemento imprescindibile per il benessere e la salute sia mentali che fisiche.

La voglia e la capacità di imparare e cimentarsi in situazioni nuove e compiti inediti per mettere nel proprio carnet di offerta un ampio ventaglio di servizi che consentano all’utenza di soddisfare più esigenze grazie al supporto di un’unica persona. Questo aspetto è molto importante nell’economia di una famiglia o di una persona con disabilità. Avere un collaboratore in grado di svolgere molteplici funzioni riduce i costi e soprattutto viene attenuato l’impatto relazionale ed emotivo sugli equilibri familiari o sulla vita di una persona che necessita di assistenza: doversi relazionare con un’equipe di persone, ognuna delle quali svolge una funzione, è sicuramente molto più complesso e stressante che avere a che fare con un unico operatore in grado di svolgere più mansioni.  In sintesi, un operatore in grado di svolgere più compiti si renderebbe molto più prezioso, darebbe più continuità e stabilità alla propria attività lavorativa e otterrebbe una retribuzione maggiore potendo richiedere una paga base più alta del minimo previsto per legge e usufruendo degli scatti di anzianità.

Altra caratteristica utile èla flessibilità per passare da mansioni più semplici a quelle più complesse nel breve volgere di qualche ora (e a volte senza preavviso) per adattarsi alle esigenze dell’utenza. Molte persone, soprattutto quelle che hanno uno stile di personalità orientato al controllo e alla gestione dell’ansia, necessitano di struttura, di conoscere anticipatamente il “programma” della giornata che li aspetta. A volte però le esigenze di una famiglia o del lavoro non consente una programmazione minuziosa dello svolgimento della giornata, sia per questioni legate al piacere che, all’estremo opposto, alla gestione di urgenze ed imprevisti. Questo aspetto diventa particolarmente importante quando si lavora con un utenza composta da persone con disabilità le quali dipendono totalmente o quasi dall’assistente negli atti quotidiani. Un assistente che reagisse con ansia o rabbia al verificarsi di cambi di programma o imprevisti caricherebbe la relazione di assistenza di emozioni negative che nel contatto assiduo e duraturo con la persona assistita andrebbero a minare significativamente la qualità della vita di quest’ultima. Se poi dovesse addirittura rifiutarsi di adattarsi alle necessità emergenti, si verificherebbe una pesante limitazione alla libertà individuale accentuando il peso della condizione di disabilità sulla persona piuttosto che alleviandola come previsto dal suo ruolo.

La capacità di assumersi responsabilità e prendere rischi, necessaria per svolgere mansioni che potrebbero arrecare danno all’utenza in caso qualcosa vada storto. Guidare un veicolo con a bordo bambini o persone con disabilità è un’attività che comporta l’eventualità di incidenti e che qualcuno si faccia male. Somministrare farmaci è una mansione che richiede regolarità e precisione rispetto ai tempi e alle dosi: commettere errori può inficiare l’efficacia delle terapie. Lavoratori con uno scarso senso di auto-efficacia ed ansia eviteranno di assumersi compiti che comportano responsabilità abbassando così il loro livello di professionalità e di competitività.

Altre qualità sono richieste all’assistente familiare necessarie per evitare di contaminare con comportamenti disfunzionali gli equilibri relazionali e sociali della famiglia. Caratteristiche che sono ancora più importanti nel caso si lavori con persone diversamente abili che per necessità devono dare accesso all’assistente ad ambiti estremamente intimi. Tra le più importanti si annoverano la riservatezza, l’equilibrio relazionale ed emotivo della persona che va a svolgere il servizio di assistenza e la discrezione. Non è concepibile infatti che una persona che partecipa al menage quotidiano di una famiglia o di un utente disabile o anziano, divulghi informazioni all’esterno, investa eccessivamente i suoi bisogni relazionali nei propri utenti dimenticando il proprio ruolo di supporto o interferisca nei rapporti familiari e/o amicali delle persone assistite.

Questi aspetti del lavoro di assistenza vengono molto spesso sottovalutati sia da chi seleziona che da chi si propone, mentre vengono tenuti in considerazione solo gli aspetti tecnici, quelli del saper fare. Ma la qualità della relazione è un aspetto predominante: un po’ come avviene nella psicoterapia, una persona mentre assiste un’altra, “somministra” se stesso. I movimenti bruschi di una persona arrabbiata fatti sul corpo di un altro il quale si sta affidando per essere vestito o lavato, vengono trasmessi senza mediazione né filtro ed inducono un forte disagio in chi li subisce.

Per tutti questi motivi sia nella selezione che nella formazione di personale di assistenza è necessario tenere in considerazioni gli aspetti emotivi, caratteriali e relazionali tanto quanto quelli tecnici. Se necessario è opportuno intervenire sulla relazione chiarendo questi aspetti e correggendo modalità relazionali disfunzionali.

Che ne dicano i w-ebeti, la vita con disabilità è bella!

Recentemente hanno fatto scalpore le vicende di cyber-bullismo che hanno segnato un’inquietante evoluzione di questa prassi vergognosa, in quanto sono state prese di mira due donne disabili. Ad aumentare lo sconcerto è stata la violenza delle offese, pesantemente declinate in senso sessuale e che sfruttavano proprio la condizione di disabilità per umiliare.

Bisogna dire comunque che nonostante lo scioccante squallore di ciò che è accaduto c’è stata un’immediata reazione della società civile, delle Autorità e dei media che ha portato ad una gara di solidarietà nei confronti delle vittime e alla stigmatizzazione dei cyber-bulli.

Tuttavia è bene fare una serie di considerazioni utili a prevenire questi fenomeni o quanto meno a limitarne la portata, soprattutto a beneficio dei giovanissimi che hanno minori mezzi per contrastare la violenza che viaggia sul web. A volte i media, con l’intento/pretesto della denuncia, hanno contribuito a dare visibilità e spettacolarizzare gli insulti, senza riuscire a darvi una risposta nel merito.

Innanzitutto c’è da rilevare che il filtro informatico determina un’ulteriore disumanizzazione che porta ad abbattere ogni tabù: generalmente le persone disabili non sono oggetto di offese così sfacciate e meschine, un velo di ipocrisia ha sempre mitigato i sentimenti più negativi. Evidentemente l’ambiente dei social sta diventando un “far west” in cui profitto e anomia fanno proliferare una brutalità psicologica che non risparmia più nessuno, neanche chi deve convivere con condizioni fisiche estreme. 

In secondo luogo è importante riflettere sul fatto che i primi eclatanti casi di cyber-bullismo rivolto a persone con disabilità hanno interessato due donne. Si conferma purtroppo l’evidenza che il genere femminile è il terminale di ogni tipo di violenza e che la sessualità è ad un tempo leva e strumento per ferire. Amaramente beffarda la constatazione che nel maltrattamento non c’è discriminazione: le donne disabili sono come tutte. Al genere femminile non è concesso di disporre liberamente del proprio corpo, c’è sempre qualcuno che si arroga il diritto di imporre il limite della decenza. Non si perdona il mostrare pubblicamente il proprio corpo nella sua sensualità e nelle sue menomazioni, neanche per una campagna di sensibilizzazione, né di raccontare la storia d’amore tra un ragazzo non disabile e una ragazza disabile e il loro desiderio di avere dei figli. Il sesso e il corpo diventano, così, armi di offesa privilegiate come nelle guerre e nelle peggiori famiglie.

In terzo luogo, c’è da sottolineare che non sono vicende private. Non perché le dirette interessate le hanno, giustamente, rese pubbliche, ma perché non lo sono mai state. Coinvolte sono  tutte le persone con disabilità, tutte le donne e, in ultima analisi, tutta l’umanità perché essere umani implica, in ogni momento e per chiunque, la possibilità di essere deboli, diversi, malati e bisognosi.

Sono stati definiti imbecilli, w-ebeti, tuttavia, anche se probabilmente si tratta di persone di scarso intelletto e profondità d’animo, non bisogna commettere l’errore di sottovalutare l’effetto corrosivo delle loro azioni che possono aprire voragini di disvalori nella società civile. Ciò perché, come detto, purtroppo le loro offese, in gran parte, poggiano su stereotipi diffusi nel senso comune ai quali è necessario rispondere con riflessioni contro-intuitive che facciano fare a tutti un balzo in avanti di consapevolezza e libertà.

Urge anche una riflessione sulla gestione mediatica delle vicende in questione. Sono state fatte scelte diametralmente opposte rispetto alla visibilità concessa ai contenuti. In un caso la pagina Facebook nella quale erano pubblicate le offese è stata immediatamente oscurata e non è stato fatto trapelare nessuno degli insulti presenti sulla pagina ma solo spiegato il loro tenore.

Nel secondo caso invece è stato scelto di darne ampia e dettagliata visibilità. Scelte entrambe comprensibili e rispettabili anche se nel secondo caso è stata investita un’intera comunità di persone che condividendo la patologia con la diretta interessata senza aver avuto possibilità di scelta. Inoltre, è abbastanza eclatante il paradosso relativo al fatto che le provocazioni di uno o di pochi sono state lette da centinaia di migliaia di persone (il video in cui vengono letti gli insulti ha totalizzato quasi un milione di visualizzazioni).

È doveroso perciò interrogarsi sul limite tra la denuncia della violenze subite e la loro spettacolarizzazione, alla quale peraltro non ha fatto seguito una risposta nel merito. Non a caso alcune questioni sono state riprese anche da persone che si sono dissociate dagli insulti più offensivi.

Una di questa è la legittimità della genitorialità da parte di persone con disabilità soprattutto se hanno una patologia a carattere ereditario. Alcuni hanno messo in discussione la scelta di concepire un figlio con alte probabilità di far ereditare la stessa malattia.

Le considerazioni che si possono fare rispetto a questo sono diverse. Innanzitutto non sempre una persona che è affetta da una patologia a trasmissione ereditaria trasmette la sua patologia al figlio: le probabilità possono variare tra il 25 e il 50% a seconda che essa sia legata ad un gene dominante o recessivo (ovviamente in presenza di un partner non portatore della stessa malattia). Al di là di ciò, che può sembrare un gioco con la sorte poco responsabile, bisogna tener presente che solo una minima percentuale delle varie forme di disabilità è legata all’ereditarietà e, di queste, un’esigua minoranza è imputabile a persone affette dalla patologie: nella maggioranza sono genitori portatori sani a generare figli malati. Da questi fatti, ne consegue che ritenere “immorale” concepire un figlio avendo una patologia ereditaria, implicherebbe per logica il biasimo di tantissime altre attività causa di incidenti, traumi e malattie con prognosi invalidante quali fare sport, andare in moto, lavorare senza le dovute protezioni, e così elencando fin ad arrivare all’atto stesso del nascere, dato che moltissime forme di disabilità scaturiscono da sofferenza perinatale. Analogamente, bisognerebbe investire di riprovazione chiunque concepisca figli senza aver effettuato tutte le analisi per escludere di essere portatore di una patologia ereditaria.

La strada verso un’ingegneria eugenetica è lastricata di buone intenzioni, quale sarebbe quella di non far soffrire il povero nascituro. Tuttavia, scioccante a dirsi, ma la vita di un bambino disabile è sicuramente piena di difficoltà e di sofferenza, ma non è certo una condanna, anzi può essere anche più gioiosa e soddisfacente di quella di altri bambini che soffrono per fattori di carattere sociale, economico o psicologico.

La vita di una persona disabile è piena di possibilità lavorative e sentimentali. Esistono tanti esempi di vite fatte di autorealizzazione professionale, impegno sociale e/o vita sentimentale. Essere una persona con disabilità non significa affatto essere inutile, né amare una persona disabile significa essere un devotee (un feticista della disabilità).

Tanto per citare un illustre. Michel Petrucciani grandissimo pianista Jazz “sul fronte personale ebbe cinque relazioni significative, con donne che lui chiamava “mogli” anche senza averle sposate. Anche il suo matrimonio con la pianista italiana Gilda Buttà finì con un divorzio. Ebbe due figli, uno dei quali, Alexandre, avuto dalla canadese Marie-Laure Roperch, ereditò la sua malattia.”

Riferimenti bibliografici.

David Hajdu, Heroes and Villains, Da Capo Press, 2009, ISBN 978-0-306-81833-2

La “scioccante verità” sulla relazione tra pornografia e disabilità

pornografia-e-disabilitaChe fra le persone con disabilità ci siano fruitori della pornografia è ormai diventato un concetto intuitivo alla luce dei recenti contributi che hanno messo in evidenza come le pulsioni sessuali siano comuni a chiunque, disabili compresi. Ma che il business della pornografia “arruolasse” come attori e, soprattutto attrici, persone con ogni tipo di handicap, è abbastanza sconcertante e apre la consapevolezza a nuovi scenari di sfruttamento e abuso sessuale.

Dalla disabilità psichiatrica a quella intellettiva, fino ad arrivare alle persone su sedia a rotelle, con amputazioni o gravi malformazioni, è proprio la condizione di svantaggio e di emarginazione che deriva dalla disabilità che rende più facilmente adescabili dai trafficanti di carne da pornografia.

Un fenomeno in espansione soprattutto nei contesti culturalmente più arretrati e nei quali i servizi sociali non riescono a fornire supporti economici e psicologici adeguati.

Un’amara verità immediatamente accessibile a tutti: semplicemente digitando su Google le parole “pornografia” e “disabili” vengono visualizzati nella prima pagina della ricerca siti che collezionano video di donne e uomini con disabilità fisica o intellettiva.
Il campionario è vario ed inquietante. C’è la ragazza su sedia a rotelle ripresa sul ciglio di una strada percorsa da decine e decine di automobilisti mentre si denuda. Video intitolati “Scherzo della natura eccitata” che riprendono donne con patologie dello scheletro, o affette da paraplegia, o anoressiche o con ipertricosi (definite “donna scimmia”) intente in atti autoerotici. Uomini e donne con amputazioni agli arti riprese durante rapporti sessuali. In uno addirittura si vede una donna, verosimilmente affetta da un disturbo dello spettro autistico, incitata a fare una fellatio. Stringe il cuore vederla fermarsi e dondolarsi prima di riprendere l’attività continuamente esortata da una persona non ripresa nel video.
In tutti i filmati è evidente la sottolineatura sulla menomazione per attirare il pubblico dei devotee (persone che hanno una attrazione feticistica e compulsiva per menomazioni o ausili), accentuazione che riduce le persone coinvolte a fenomeni da baraccone in chiave pornografica.
La modalità amatoriale (alcuni sono ripresi da una webcam) fa pensare che siano stati realizzati senza che le persone coinvolte fossero del tutto consapevoli che sarebbero finiti su siti internet alla mercé di chiunque. Un’eventualità resa ancora più verosimile dai recenti fatti di cronaca di diffusione in rete di video di rapporti sessuali (o addirittura stupri) girati e condivisi contro la volontà delle persone coinvolte.
L’emarginazione sociale e sessuale nella quale versano ancora oggi molte persone con disabilità e l’assenza di educazione sessuale sono fattori che alimentano la vulnerabilità rispetto al cadere nella rete del commercio di immagini pornografiche.
La sessualità è una dimensione della vita che funge anche da spartiacque tra il vissuto di normalità/inclusione e quello di diversità/emarginazione. Così come per i più giovani perdere la verginità è diventato una sorta di rito di passaggio dall’età infantile all’adolescenza che raramente ha a che fare con il piacere, analogamente per le persone disabili avere rapporti sessuali o meno fa la differenza rispetto al sentirsi uguali agli altri. L’urgenza di fare sesso per non sentirsi più diversi, combinata con la mancanza di consapevolezza che la sessualità non si riduce alla penetrazione e che l’elemento imprescindibile è il piacere, può favorire il lasciarsi convincere a fornire prestazioni sessuali senza provare alcun piacere, anzi a costo di sofferenza fisica e psicologica e pur sapendo di essere oggetto di riprese pornografiche.
Nella letteratura scientifica è stato documentato come fra le caratteristiche che identificano il profilo psicologico delle donne che si prestano alla pornografia sia la tendenza a sottomettersi, ad essere accondiscendenti, “docili”. Nei contesti culturalmente più arretrati le persone disabili sono tollerate come pesi per la società e indotte a mettere i propri bisogni all’ultimo posto, nonché ad accettare l’assistenza quale che sia la forma con cui essa viene fornita: anche in totale assenza di privacy. Questi due aspetti intrecciati tra di loro fanno sì che le persone con disabilità siano molto vulnerabili e rendono estremamente probabile un aumento esponenziale del fenomeno parallelamente allo sdoganamento del binomio sesso e disabilità.
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è il rapporto tra disturbi clinici e di personalità e pornografia. Posto che la letteratura scientifica ha ampiamente documentato la relazione tra abusi sessuali/incesto, insorgenza di disturbi psicologici gravi e disinibizione sessuale¸ è abbastanza intuitivo ipotizzare che fra le pornoattrici siano ricorrenti pregressi di abuso sessuale e disturbi psichiatrici. Questa ipotesi ha trovato riscontro nelle interviste raccolte in un documentario girato da associazioni femministe e presentato nel 2000 al Parlamento svedese.
Dalle interviste è emerso anche come i rapporti sessuali meccanici e a tratti violenti di cui erano oggetto alcuni filmati fossero vissuti come riedizioni di precedenti violenze subite dalle “attrici”, come essi dessero luogo a fenomeni di dissociazione e depersonalizzazione, fino, nei casi più estremi, ad indurre un’esacerbazione dei sintomi depressivi tale da determinare comportamenti autolesivi e suicidari.
Occorre, quindi, prendere atto di come esista un circolo vizioso secondo il quale entrano nel business della pornografia uomini e donne che hanno una storia di abusi e una predisposizione alla patologia psichiatrica, le quali subiscano la conclamazione e/o l’esacerbazione della sintomatologia proprio a causa degli abusi subiti durante le riprese.
Infine, bisogna tener presente la correlazione tra disturbi dell’umore e Disabilità Intellettiva Severa che ci porta a considerare come ulteriormente vulnerabili a questo tipo di sfruttamento le persone con doppia diagnosi di ritardo e problematiche psichiatriche.
Alla luce dell’impossibilità (per motivi pratici ed etici) di censurare ogni accesso alla dimensione sessuale nelle persone disabili, al fine di prevenire abusi e sfruttamento sessuale è urgente attivare una campagna di prevenzione che aiuti le persone disabili a comprendere l’importanza di proteggere la propria intimità e come trarre dalla sessualità piacere nel rispetto delle regole sociali, piuttosto che diventare oggetto di sfruttamento per la libidine altrui.

Riferimenti:
• R. AMY ELMAN, Disability Pornography: The Fetishization of Women’s Vulnerabilities, Violence Against Women 3(3):257-70 · July 1997
• Channa Bankier (2000) Shocking lies: sanningar om lögner och fördomar i porrdebatten: en antologi, Periskop, 2000
• DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DISORDERS, FIFTH EDITION DSM-5TM
http://www.stateofmind.it/2013/10/shocking-truth-pornografia/

Sono davvero i disabili i parassiti della società?

Mentre il razzismo verso gli immigrati è deflagrato negli ultimi anni in tutta la sua spudorata evidenza con conseguenti politiche di segregazione, in maniera strisciante si sta affermando un pensiero velenoso nei confronti delle persone con disabilità: i disabili sono improduttivi e costano, portano all’incremento di tasse e al deficit, rendono il Paese meno competitivo ergo devono ridurre il più possibile le loro richieste per minimizzare gli oneri fiscali.  Un pensiero che non solo è l’anticamera dell’eliminazione fisica, ma è anche una balla colossale.

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Commento ad un post di Iacopo Melio

Non voglio rispondere sotto il profilo morale che implica sempre una scelta di valori, ma dal punto di vista dell’asettica analisi delle dinamiche economiche che sbugiardano nettamente le fandonie di chi vuole lucrare sull’azzeramento dello Stato Sociale.

I contributi che una persona con disabilità riceve sono ricchezza che viene immediatamente e totalmente rimessa nel circolo economico diventando gettito fiscale e previdenziale o reddito per altre persone le quali a loro volta pagano tasse, contributi e determinano reddito per altre persone ancora, in un circuito virtuoso equilibrato e continuo in cui le risorse messe a disposizione dallo Stato ritornano nelle casse erariali. Ad esempio i contributi erogati per l’assistenza, che sono peraltro sottoposti a rendicontazione, vanno a costituire lo stipendio dell’assistente e i suoi contributi previdenziali. Stipendio sottoposto a tassazione, rispetto al quale vengono versati contributi, che servirà ad acquistare beni e servizi. Detti acquisti sono a loro volta soggetti a tassazione indiretta  e andranno a creare reddito per altre persone e così via. Per il medesimo meccanismo, tutte le altre forme di sostegno all’inclusione sociale delle persone con disabilità attraverso l’acquisto di beni e servizi concorrono a sviluppare ricchezza, reddito e gettito fiscale e previdenziale.

Tuttavia ormai da anni ci ripetono che la differenza tra gettito fiscale e spesa pubblica è per ogni esercizio in disavanzo di diverse centinaia di milioni di euro tanto che il Governo è sempre costretto ad aumentare la pressione fiscale e l’indebitamento pubblico. L’Unione Europea stabilisce regole più o meno rigide per la stabilità economica dei Paesi membri e tutti, come tante pecorelle, puntano il dito contro lavoratori, pensionati, malati, disabili e ovviamente immigrati. La ricetta è sempre la stessa: TAGLIARE diritti, stipendi, pensioni, contributi, ecc. L’ho già detto e lo ripeto è una COLOSSALE BALLA: per ogni persona che usufruisce di servizi c’è un indotto di lavoro che genera ricchezza, non può per tale motivo determinare deficit.

Ma allora dov’è il problema? I fattori che determinano il disavanzo pubblico vanno individuati, in ordine sparso, fra i seguenti.

I traffici illeciti della criminalità organizzata. 

Si stima che il volume d’affari annuo di mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita sia pari a 100 miliardi di euro.  Un buco nero che risucchia le risorse economiche prodotte da chi vive e lavora in Italia attraverso il traffico di droga, prostituzione, estorsioni, caporalato, traffico di armi, ecc. La criminalità organizzata non solo sottrae ricchezza al gettito fiscale e previdenziale, ma crea anche danni economici alle piccole e medie aziende con i danni a cose e persone a scopo estorsivo.

Corruzione.

Nonostante il dibattito circa l’effettivo ammontare del costo della corruzione sia ancora in corso e si stanno cercando metodi sistematici per stimarla, è sotto gli occhi di tutti come essa sia un fenomeno capillare e diffuso che  determina un incremento della spesa pubblica a causa dei costi dovuti ad appalti e fatture gonfiate, opere pubbliche incomplete e gestione fraudolenta di industrie, società e banche che costringono lo Stato a sovvenzionarle per scongiurarne il fallimento o ad erogare le indennità di disoccupazione ai lavoratori licenziati.

Italia-aperta-4-630x398Evasione ed elusione fiscale. 

Lavoro nero, mancata dichiarazione di redditi percepiti, trasferimento della sede legale delle grandi società nei cosiddetti paradisi fiscali (così come l’immissione nel mercato italiano dei grandi social network che, pur vendendo servizi ad aziende e persone nel nostro Paese sottostanno al regime fiscale vigente nello Stato in cui hanno la sede legale), la delocalizzazione delle fabbriche in Paesi in cui i lavoratori percepiscono redditi più bassi e hanno minori (o nulle) tutele previdenziali ed assicurative, tutto ciò determina disoccupazione e un conseguente minor gettito fiscale e previdenziale.

Cattiva gestione colposa o dolosa della sicurezza sui posti di lavoro.

Oltre a determinare drammi umani inestimabili, comporta un aggravio dei costi per risarcimento, sovvenzione, riabilitazione e ausili che sacrosantamente vengono erogati agli infortunati sul lavoro. Maggior sensibilizzazione, controlli più severi e ritmi di lavoro meno esasperati porterebbero ad un maggior rispetto per le vite dei lavoratori e un minor costo per le casse dello Stato.

Violazione delle norme ambientali e traffico illecito di rifiuti tossici. 

La Federazione Italiana Medici Pediatri ha stimato che un bambino su tre si ammala per gli effetti dell’inquinamento atmosferico. Un dato che nella sua drammaticità è solo la punta dell’iceberg del fenomeno inquinamento ambientale a cui vanno aggiunte tutte le persone adulte e anziane e i fenomeni di contaminazione del sottosuolo e delle falde acquifere dovuta al traffico di rifiuti tossici.

Accumulo di capitali non soggetti a tassazione.

I guadagni realizzati dalle grandi società, spesso anche attingendo alle risorse dello Stato come nel caso delle grandi industrie farmaceutiche, ristagnano nei conti correnti senza determinare reddito né gettito fiscale.

In conclusione, questi sono solo alcuni dei fenomeni che mettono fortemente in discussione la sostenibilità dello Stato sociale che ormai da anni è continuamente sotto attacco. Lungi dalla pretesa di aver scoperto l’acqua calda e che da domani ci sia un lotta senza quartiere a chi viola la legge mettendo in ginocchio il Paese, il fine di questa disamina è quello, come dichiarato, di smentire l’accusa che i disabili (e tutti gli altri fruitori di servizi socio-sanitari) siano la causa del dissesto economico finanziario dello Stato.  Chi riceve questi servizi non deve sentirsi un peso, bensì deve essere consapevole che gli attacchi ideologici ai servizi sono una manipolazione di comodo finalizzata ad evitare di confrontarsi con i veri problemi e a recuperare risorse economiche spremendo i soggetti più deboli della società.

L’auspicio, a pochi giorni dalla tornata elettorale, è che cittadini ed istituzioni smettano di fare i forti con i deboli e i deboli con i forti e attuino misure di contrasto a questi fenomeni cancerosi.

 

Il cambiamento è una questione di fiducia

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Un’accurata analisi della domanda 

A volte i pazienti non vengono in seduta per cambiare, ma solo per confidarsi con qualcuno su argomenti che non vogliono o non possono affrontare all’esterno, per solitudine o per avere qualcuno con cui sfogarsi. Questo aspetto oltre a dover essere chiaro allo psicoterapeuta è importante che venga esplicitato e il paziente se ne renda conto e se ne prenda la responsabilità.

Capire su cosa si vuole attuare il cambiamento e fissare obiettivi concreti e definibili.

Chi intraprende un percorso, il più delle volte, intende eliminare dei sintomi (ansia, depressione, insonnia, disturbi dell’alimentazione, ecc.) ritenendo che la semplice evacuazione di vissuti possa essere una catarsi sufficiente alla rimozione delle problematiche. In realtà il cambiamento richiede un po’ più di impegno.

Alcuni dei compiti che devono svolgere insieme terapeuta e paziente sono i seguenti:

  • rievocare questioni dolorose: non è sufficiente parlare dei sintomi o di questioni che hanno un ruolo marginale nell’economia esistenziale del paziente. È necessario trattare le questioni che hanno un ruolo centrale.
  • prendere contatto con le emozioni: non è sufficiente parlare dei vissuti e fare una rassegna delle problematiche. A volte i pazienti parlano velocemente di aspetti anche molto dolorosi con distacco emotivo. Anche queste sono forme di resistenza in quanto con queste modalità di espressione si blocca l’accesso delle emozioni alla coscienza, ma il vero potere del cambiamento sta nella forza delle emozioni: la chimica del cervello, le tracce mnestiche e le memorie procedurali che fanno da sostrato biologico ai copioni comportamentali, si modificano solo quando la parte più antica del cervello, quella implicata nelle emozioni, viene attivata. Il pensiero, l’attività della neocorteccia, è solo ciò che orienta e fa capire quali sono i nodi da sciogliere.
  • cambiare gli stili di vita: molto spesso i sintomi di ansia o i disturbi dell’umore sono causati da stili di vita molto stressanti, dal frequentare persone negative fonte di forte stress emotivo. In altri casi l’assunzione di sostanze o cattive abitudini alimentari possono aggravare i sintomi psicologici. Tutto ciò implica un cambiamento degli stili di vita per ripristinare il benessere psicologico. Ciò deve essere assunto responsabilmente dal cliente affinché possa collaborare ad un percorso che conduca verso la modifica di stili di vita disfunzionali.

La resistenza sta al cambiamento come l’aria sta agli uccelli: rallenta il loro volo e al tempo stesso lo rende possibile

Sembra un paradosso, ma non lo è: se i nostri cieli fossero privi di atmosfera il volo sarebbe impossibile. Così se i pazienti non ponessero alcuna resistenza al cambiamento sarebbero pura argilla nelle mani del terapeuta da plasmare a proprio piacimento, con grande gratificazione narcisistica di quest’ultimo. Questi cambiamenti tanto sono rapidi tanto sono instabili. La resistenza non è altro che la manifestazione fenomenologica della tendenza degli organismi a mantenere la stabilità. Così un certo livello di resistenza al cambiamento è segno di un senso del Sé coeso e stabile: il paziente conosce se stesso, sa cosa è familiare e tende a mantenerlo. L’assenza della resistenza o anche la sua inconsistenza sarebbe solo il segnale di una personalità poco definita che subisce le suggestioni delle altre persone, ma non cambia in funzione di un processo di consapevolizzazione e di scelta di applicare nuove modalità relazionali. Allo stesso modo l’eccesso di resistenza consente al terapeuta di individuare gli aspetti più problematici ed aiutare il paziente ad indirizzarlo verso di essi.

La resistenza è sempre intersoggettiva

Ogni psicologo e psicoterapeuta deve tener conto anche del proprio controtransfert e di conseguenza delle proprie resistenze ad affrontare tematiche molto dolorose per il paziente o che hanno attinenza al presente e alla storia del terapeuta. Esse si possono manifestare con la collusione da parte di quest’ultimo verso il paziente nel non affrontare completamente certe tematiche oppure anche nel sorvolare su di esse. Altre volte la resistenza può essere agita con comportamenti che interrompono l’espressione emotiva.

La resistenza si nutre di pregiudizi e pensieri irrazionali

“Ce la devo fare da solo”, “Ho paura di diventare dipendente”, “Quanto tempo ancora dovrò venire in terapia?”, “Non ho soldi da buttare”. Tutte frasi che esemplificano i pensieri irrazionali e ingiustificati spesso correlati all’idea di affrontare un percorso di psicoterapia. Evidenziarli e confutarli è parte integrante del lavoro terapeutico.

Bibliografia di approfondimento:
Cambiamento e Resistenza in Terapia –  L’aderenza veloce al trattamento Autori: Edoardo Giusti – Florinda Barbuto Casa Editrice: Sovera Data di pubblicazione: 2014. Clicca qui.

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La sessualità come elemento imprescindibile per la qualità della vita

Perché la vita possa definirsi completa e soddisfacente non può mancare in essa il soddisfacimento dei desideri sessuali e la possibilità di sperimentare tutta la gamma di sensazioni ed emozioni dell’amore erotico.

Ci sono purtroppo persone che per costrizione o per scelte dettate da esperienze che hanno condotto ad un inaridimento della loro vena romantica, erotica e sensuale, conducono una vita fatta di doveri o di piaceri materiali, oppure si rifugiano nella spiritualità. In tutti questi casi non si soddisfano il bisogno di ogni essere umano di dare corpo alle emozioni e ai sentimenti.

Infatti, l’amore erotico ha un valore aggiunto rispetto alle altre forme di piacere o di amore: esso è il punto di congiunzione fra la psiche e il soma, tra il nostro mondo emotivo e tutte le espressioni fisiche e sensoriali delle emozioni. L’amore e il piacere erotico possono declinarsi sia nella relazione con l’altro sia con se stessi: l’autoerotismo può essere la strada privilegiata per conoscersi ed imparare ad amarsi, per riappacificarsi con il proprio corpo. L’amore erotico ha il potere di trasformare nella mente delle persone malate o diversamente abili, la percezione del proprio corpo come luogo dove si realizza il benessere, laddove invece nella grigia quotidianità dell’assistenza e delle terapie esso è motivo di mortificazione morale e dolore. L’amore erotico autentico permette a chi vede nel proprio corpo solo difetti, la consapevolezza che esso può essere soggetto e oggetto di intense e gradevoli emozioni e sensazioni. L’amore erotico autentico e personale ha un potere terapeutico.

Piacere come nutrimento dell’autostima: conoscersi o essere conosciuti dal partner al punto da riuscire a darsi o ricevere piacere nel modo unico in cui ognuno di noi ama ricevere piacere ed amore, ha una ricaduta positiva immediata sul proprio senso di autostima. Amarsi ed essere amati con dedizione e attenzione significa essere riconosciuti nella propria unicità ed essere meritevoli di un amore che va al di là dei canoni, degli stereotipi e delle convenzioni.

Ma il piacere sessuale non fornisce in sé e per sé nutrimento alla propria autostima. L’auto-erotismo può essere visto come un surrogato della sessualità con un/una partner e vissuto con un senso di prostrazione che subentra poco dopo l’orgasmo. I fantasmi di un retaggio culturale che ha per secoli stigmatizzato la masturbazione come un atto immorale, impuro e legato ad una sessualità immatura, polimorfa alla quale è stata contrapposta l’immagine positiva della sessualità genitale e funzionale alla riproduzione.

Nelle relazioni sessuali una sessualità piacevole per puro esercizio fisico o stimolazione sensoriale, senza un collegamento ad una dimensione emotiva e sentimentale, può risultare sterile, fine a se stessa, quindi non lasciare nutrimento all’autostima.

Si pensi alle parafilie quali la pedofilia, il frotteurismo, i comportamenti voyeuristiici o esibilizionisti, ecc. essi provocano eccitazione in chi mette in atto questi comportamenti, ma invece che creare un rapporto intimo, costoro vengono emarginati proprio per il carattere deviante della loro sessualità e per il fatto che gli agiti invadono la sfera intima di altre persone senza il loro consenso. Altro esempio di una sessualità mortificante è quella ricercata da persone affette da dipendenza sessuale le quali sono costrette, per raggiungere livelli di eccitazione soddisfacenti, a ricercare comportamenti sessuali sempre più estremi, ma questo, oltre che creare situazioni potenzialmente pericolose e socialmente compromettenti, lasciano un profondo senso di prostrazione in chi le compie.

Piacere, violenza e sopraffazione: altre volte il piacere sessuale viene ottenuto attraverso l’erotizzazione della violenza e della sopraffazione. Si pensi ai rapporti sessuali basati su dinamiche sadomasochistiche o alle pratiche autoerotiche con oggetti impropri che possono provocare dolore e ferite al limite dell’autolesionismo. I casi di abuso e di violenza sessuale sono l’esempio più emblematico di una sessualità basata sulla mortificazione dell’oggetto dell’investimento erotico.  Ma senza arrivare a questi estremi a volte il rapporto sessuale può essere condotto con rabbia, diventare lo sfogo di risentimento verso il partner o la categoria che esso rappresenta. Tutte queste forme sessualità sono veicolo di sentimenti negativi e provocano a loro volta ulteriore mortificazione e risentimento.

Desiderio come forza motivante: ad ogni modo è innegabile il potere del desiderio in generale e di quello sessuale in particolare. Esso rappresenta una forza motivante, in negativo e in positivo, molto potente. La sessualità è la dimensione dove si possono realizzare attimi di pura felicità e che possono dare senso alla vita che per lo più è fatta di doveri e sacrifici. Ecco perché non bisognerebbe mai smettere di ricercare le gioie dell’amore e del piacere sessuale.

Il mio libro: “Divers-abilità: invenzioni per rendersi felici”. Empatia, autodeterminazione e resilienza.

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Si può essere felici pur avendo una disabilità? Quali sono gli ingredienti necessari per raggiungere una buona qualità della vita? Queste le domande a cui fondamentalmente risponde questo libro che esplora il complesso intreccio tra fattori biologici, psicologici e socio-culturali che determinano il benessere psicologico e l’auto-realizzazione. Obiettivo? Fornire spunti, a professionisti e non addetti ai lavori, per identificare le diverse prospettive e pianificare interventi che affrontino le problematiche a diversi livelli, valorizzando sempre l’unicità e il ruolo soggettivo della persona con disabilità, regista essa stessa dei supporti per l’inclusione sociale, piuttosto che oggetto passivo di atteggiamenti pregiudizievoli e assistenzialisti.

In copertina: “Le chiavi di casa” di Roberta Maola.

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Video delle presentazioni, recensioni e commenti

Presentazione sul sito formapsicologi.it a cura della dr.ssa Laura Salvai – Sabato 27 marzo 2021


Presentazione presso la Biblioteca Tullio de Mauro Roma – Sabato 9 febbraio 2019

Recensione su Superabile INAIL –  n. 2 febbraio 2019 di A. P. 

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“Una visione diversa della disabilità: questo libro analizza psicologicamente le diverse criticità legate alla condizioni della disabilità con realismo e concretezza offrendo al contempo degli spunti di riflessione che permettono di trovare degli agganci di “resilienza”.
Consigliato sia a chi vive e/o conosce la situazione di disabilità che a chi è semplicemente incuriosito da una visione realistica e concreta.”

“Un libro necessario, consigliato a chiunque viva, lavori o semplicemente voglia approcciarsi alla realtà della disabilità motorio-sensoriale. Testo completo e rigoroso, ma nel contempo scorrevole, appassionante e toccante.
Mi resta la sensazione di un annullamento delle distanze, perché sia che siamo persone normodotate o con disabilità, vogliamo infine le medesime cose: autodeterminazione, rispetto, relazioni significative e gratificanti.
Bellissimo testo.” E. M.